Aveva pensato a uno scherzo, inizialmente. L’uomo era apparso tra le due porte scorrevoli, il bianco metallo che indossava sembrava infrangere la luce solare spedendola in tutte le direzioni, conferendo al corpo una luminescenza abbacinante. Il controllore, incuriosito al punto giusto, aveva sorriso tra sé e sé continuando a controllare che i documenti fossero conformi ai biglietti di viaggio e che nessuno avesse oggetti metallici o elettronici mentre passava dal metal detector.
I controlli di sicurezza degli aeroporti sono un susseguirsi perpetuo di rituali meccanici e una sedimentazione di ruoli sociali così strutturata che meriterebbe sicuramente l’analisi attenta di un qualche sociologo. L’aeroporto di Pisa non fa sicuramente eccezione. Qui, si vedono così tante persone comuni, si sequestrano così tanti liquidi, si fanno togliere così tante scarpe che alla fine la percezione e la responsabilità di essere l’unico argine tra un ipotetico terrorista e un volo colmo di persone sfuma in una polvere di noia. A sera, qualche volta, si finisce a bere una birra tra colleghi pensando ai fatti assurdi che sono successi durante il giorno. Tra questi si ricordano: una donna che aveva riempito una bottiglia di coca-cola da 2 L con sapone di Marsiglia e pretendeva di poterselo abbracciare in volo, un ragazzo stupirsi per il sequestro del suo accendino a forma di bomba a mano, una donna che si apprestava ad affrontare un volo intercontinentale di svariate ore con due fette di cipolla in ogni scarpa, un signore che aveva chiesto se era possibile fare il biglietto direttamente sull’aereo, un uomo che pensava di eludere i controlli di sicurezza con un gatto nello zaino e molte, moltissime altre ancora. Poi, ovviamente, come in tutti i lavori, ci sono momenti di frustrazione, come dover fermare il membro più piccolo di una famiglia la cui lingua non è neppure lontanamente paragonabile al suono più fastidioso mai sentito, doverlo fermare perché la spia rossa continua a lampeggiare ogni volta che il ragazzo passa attraverso la porta metallica, con quella faccia che sembra dire “Andiamo, ma mi hai visto? Ti sembro un terrorista?” e il controllore che cerca di guardarlo con l’espressione altera e rude da “Per quanto ne so potresti anche esserlo”, ma tutto quello che la sua faccia sembra dire è “Cerca di capire, figliolo io con questo lavoro ci pago il mutuo. Perdonami se puoi”. Fermarlo e perdere tempo in controlli inutili prima di accorgersi che la lucina rossa segnalava in realtà un malfunzionamento e avrebbe suonato anche se fosse passata la mascotte delle gomme Michelin.
La cosa che l’aveva insospettito, a dir la verità, e per quanto strano possa sembrare, era stato il trolley che la losca figura portava appresso. Il trolley e i fogli che stringeva nella mano metallica che avevano tutto l’aspetto di essere biglietti aerei.
L’uomo si avvicinava con passi lenti ma ampi, il portamento altezzoso cozzava con il fruscio ferreo dei cardini ben oliati. Nonostante la stazza, la figura sfoggiava un’insolita agilità. Camminando lentamente, arrivò al controllo sicurezza e si mise in fila, con non poco clamore delle persone intorno a lui.
«Nara, tu sapevi nulla?», chiese il controllore. «È prevista un’esibizione medievale per l’uscita di qualche prodotto?».
«Non ne so nulla», rispose la collega.
Mentre la fila continuava a scorrere, l’atmosfera iniziava a farsi pesante. Le forze di sicurezza presenti si erano avvicinate minacciose e annoiate. In pochi minuti, l’uomo, che portava un’armatura integrale bianca, lucente e perfettamente linda, con tanto di pennacchio colorato, si trovò faccia a elmo con il controllore aeroportuale.
«È uno scherzo, ovviamente», disse il controllore guardando l’uomo in armatura che gli offriva il biglietto.
«Mi scusi?».
«Lei sta scherzando?», continuò il controllore, questa volta con un tono profondo e grave.
«Nessuno scherzo», rimbeccò l’uomo. La voce serafica sembrava non provenire dal punto dove si suppone un uomo abbia la bocca, ma dall’armatura stessa. «La prego di controllare i miei documenti di volo. È tutto perfettamente in regola».
«Guardi che non si rende conto della situazione nella quale si sta mettendo», e in effetti la situazione si stava rendendo complessa. Gli uomini della polizia si stavano avvicinando con le mani sulle armi, pronti a fare fuoco, forse frenati solo dal comportamento affabile dell’uomo e dalla grande sfilza di telefonini puntati verso di loro.
Il controllore afferrò il biglietto e l’uomo dentro l’armatura disse: «Guardate che non ho liquidi che eccedano i 25cc, non ho accendini, armi o altri oggetti metallici proibiti».
«Non è in possesso di oggetti metallici?».
«Di nessun tipo».
«E ne è sicuro?».
«Ovviamente».
«Signore… lei è dentro un’armatura», la voce del controllore era un frusciare, e sembrava parlare quasi con imbarazzo. «E, a voler essere pignoli, anche se certo non è il principale problema, non mi ha dato nemmeno un documento».
Dall’armatura venne un risolino breve che sembrò avere eco in tutte le persone intorno a lui e distese l’atmosfera. Ok, perfetto è uno scherzo nessun pericolo, sembrarono pensare tutti.
«Lo sapevo che c’era stato un malinteso, e mi scuso con tutti voi. Vedete, io non posso avere un documento», disse la ferraglia.
«E perché mai?», chiese il controllore, incarnando una domanda che a quel punto era collettiva.
«Ma perché io non esisto, Signore».
La folla rimase col fiato sospeso per qualche istante poi iniziò un breve sibilo mescolato a piccole risa, e nuovamente la situazione sembrò distendersi. Le forze dell’ordine si avvicinavano e allontanavano dal cavaliere come il mare in battigia.
«Ah, ecco. Beh, sì, certo. Lei non esiste. Sì, adesso tutto torna». Il controllore fece una breve pausa. «Ma lei è un pazzo. E voi non fate nulla? Portatelo via, presto», l’uomo si stava riferendo alle forze dell’ordine che, questa volta con decisione, intervennero e presero l’armatura allontanandola dalla folla. Il cavaliere scalciò e fece una breve resistenza mentre urlava: «Vi dico che non esisto, non esisto ve lo garantisco». E urlando queste parole sollevò la celata cosicché tutta la folla poté vedere… nulla. Dentro l’armatura non c’era nulla.
«Vedete? Nulla! Avete visto? Nulla! Non c’è nulla da vedere. Non esisto, non esisto». Continuava ad urlare, finché l’armatura si rilassò e qualche pezzo cadde qua e là.
I controlli ripresero e in pochi minuti tutta la folla che aveva assistito alla scena aveva varcato la soglia che separa le bottigliette d’acqua legali da quelle illegali. Il trolley del cavaliere fu preso e messo in un angolo, in attesa di chiarire la questione, finché, qualche ora dopo l’accaduto, non scomparve nel nulla sotto gli occhi increduli di qualche guardia.
La fine che fece quel cavaliere non ci è dato sapere. Qualche volta, davanti ad una birra, i colleghi dei controlli aeroportuali ne parlano, cercando di trovare una spiegazione logica alla faccenda, ma questa richiederebbe una grande dose di fantasia, e si sa che, di questi tempi, la fantasia è una merce che non tutti possiedono.
di Alessio Simoncini
Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti
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