Betta non smette di fissarmi. Se ne sta rannicchiata sul letto con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Immagino ce l’abbia con me, perché non apre bocca. Non è mai stata così zitta; di solito è una lagna epocale, una di quelle che frignano per ogni cazzata, compreso il gelato alla vaniglia che le finisce spesso sul marciapiede davanti alla cremeria. In un momento tanto delicato preferirei che dicesse qualcosa, invece di piantarmi i suoi occhi come biglie in faccia. Devo averla scioccata sul serio, cazzo! È rimasta a guardare ogni fase del procedimento, senza batter ciglio. Sembrava ipnotizzata, come non le importasse che avessi fatto fuori la sua migliore amica: l’unica cogliona che non protestava mai, qualunque cosa lei le combinasse. Fosse, che so, lisciarle i capelli di platino o truccarla con il mascara da zoccola della mamma.
Sono tranquillo, i nostri genitori non torneranno prima delle 19.00. Il giovedì arrivano sempre per cena con gli amici di papà e i loro figli: due stronzetti nerd con le felpe di due taglie più grandi e le sneaker puzzolenti. Nonostante mia madre sia riluttante a lasciarci a casa da soli, ho fatto valere le mie ragioni. A dodici anni un ragazzo va responsabilizzato. Sì, cazzo, ho detto proprio così: r-e-s-p-o-n-s-a-b-i-l-i-z-z-a-t-o.
Quella cogliona di Sharon vive con noi già da qualche mese. A dire il vero, Sharon non è neanche il suo vero nome, ma secondo la mamma le persone a volte un nome non ce l’hanno e allora bisogna fare una riunione per trovargliene uno. Fatto sta che non ci siamo riuniti per niente e alla fine, come sempre, Betta ha strillato come un’ossessa finché non ha imposto a tutti la sua scelta.
Finalmente le cose andranno diversamente. Decido io che cazzo fare, preparando una bella sorpresa per tutti. Sharon finirà nel forno con l’aglio e il rosmarino. So come fare, ormai sono un genio del taglio e non credo che i miei daranno troppo peso alla faccenda. Le persone scompaiono tutti i giorni, soprattutto quando sono bionde, piccole e graziose. Chiedetelo a Federica Sciarelli, cazzo. Se vogliamo dirla tutta, non è che ci tengano poi così tanto alla piccola Sharon. Non la chiamano mai per mettersi a tavola. Una volta siamo andati al Lago D’Orta per il week-end senza neppure portarla con noi. Betta, come al solito, ha strepitato come un diavolo della Tasmania. A quel punto, mamma ha dovuto trascinarla nel Gippone quasi a forza.
Tornando a noi, dopo le prime difficoltà, la mannaia è entrata nella carne bianca come fosse burro. Concluso il lavoro, ho raggiunto mia sorella, mi sono seduto sul letto e l’ho strattonata.
«Era una stronza, cazzo. Dai, Betta. E poi era pure inquietante. Certe volte di notte mi svegliavo e vedevo che mi fissava nel buio. Aveva quel cazzo di sguardo che mi faceva cagare addosso. Su, smettila di guardarmi anche tu così, adesso!»
Betta è rimasta immobile. Aveva lo stesso sguardo di Sharon, di quella bambola merdosa fatta a grandezza naturale. L’unica cosa che non sono riuscito a capire è come cazzo abbia fatto una bambola a perdere tutto quel sangue.
di Laura Scaramozzino
Laura Scaramozzino (1976, Torino) ha partecipato ad antologie e pubblicato romanzi. Dastan verso il mare, Edizioni Piuma, è stato selezionato al Premio Internazionale di Como.
Suoi racconti appaiono su: Inkroci, Writer Magazine Italia, Quaerere, Sulla Quarta Corda, Clean Rivista, In fuga dalla bocciofila, Suite Italiana, Tremilabattute, Malgrado le mosche, Super Tramps Club, Grande Kalma, Enne2, Narrandom, Spore, Birò, Nabustorie e Alkalina.
Illustrazione di Beatrice Nicolini
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