Un uomo cammina in una vigna. Non sa perché, o in che modo ci sia arrivato. Rimane estasiato dai colori: schivo gli appare il verde delle foglie, assetato il viola dell’uva, sognante il blu del cielo. Come se li vedesse per la prima volta.
I filari sono interminabili, l’uomo non ne scorge la fine; passa da uno all’altro quando tra due viti si apre una volta più ampia. Si gusta il fruscio dell’erba sotto i piedi, non è mai stanco di annodare lo sguardo sui gomiti dei tralicci. Tocca ogni cosa con gli occhi, ma non sfiora mai niente con le dita. Vuole solo camminare e osservare. Sente che potrebbe continuare a farlo per sempre.
Poi, all’orizzonte dell’ennesimo corridoio di rami, l’uomo vede spuntare un piccolo casolare. Gli sembra fuori posto, simile a un meteorite piombato dallo spazio.
L’uomo lo raggiunge. Sul muro di pietra davanti a lui non ci sono finestre, solo una porta. Accosta l’orecchio. Silenzio. L’uomo esita, si volta indietro. Infine bussa. Dall’interno del casolare giunge allora un brusco rumore graffiato, seguito a ruota da un calpestio nervoso: pochi secondi e la porta si spalanca.
Sulla soglia compare un uomo. L’uomo della vigna non saprebbe dire se sia alto o basso, bello o brutto; sa solo che si tratta di un altro uomo.
L’uomo del casolare si fa subito da parte. «Prego, entri» è tutto ciò che dice.
L’uomo della vigna è di nuovo titubante; quando, un piede per volta, varca l’ingresso, si ritrova in una stanza grigia: grigio è il pavimento, grigie sono le pareti, grigi sono anche i brandelli di sole che filtrano da un lucernario sul tetto. Al centro della stanza c’è un lungo tavolo nero, con una sedia all’estremità e una sul fianco, di fronte alla quale giace un bicchiere vuoto. Su due file di mensole alle pareti sono allineate decine di bottiglie di vino.
L’uomo del casolare indica la sedia laterale. «Si accomodi pure.»
Mentre si dirige a passi incerti verso la sedia, l’uomo della vigna sente la porta richiudersi.
L’uomo del casolare prende una bottiglia già aperta e riempie il bicchiere dell’ospite, senza chiedere niente, quasi stesse eseguendo un’azione che deriva di forza dalle precedenti.
L’uomo della vigna beve un sorso di vino. Ha l’impressione di colorarsi dentro.
Dopo aver riposto la bottiglia l’uomo del casolare si siede a capotavola. «Bene, dunque… qual è il suo nome?» La stanza si riempie dell’ansia mal celata nella domanda.
L’uomo della vigna apre la bocca ma non ne esce suono. Cerca di ricordare, eppure nessun nome proprio, di alcun genere, gli sfiora la mente.
L’uomo del casolare si sporge sul tavolo. «Si sforzi, è importante! Io, infatti, per quanto ci provi, non ricordo. Sto aspettando da un’eternità l’arrivo di qualcuno che ci riesca.»
L’altro però rimane muto, come i colori della vigna che abitano solitari la sua memoria: e a quel punto vede la figura dell’uomo del casolare perdere pian piano di consistenza prima di scomparire.
La sua sorpresa dura poco. Finisce il vino, si alza, gira intorno al tavolo e si siede al suo capo.
Quindi l’uomo del casolare comincia ad aspettare.
di Bruno Venticonti
Bruno Venticonti nasce tra i 35 e i 41 anni e 5 mesi or sono a Firenze, dove studia filosofia ma legge di tutto, scrive un poco, lavora come commesso in una libreria, finché, dopo un intermezzo da docente precario, nel 2022 decide di trasferirsi in un paese della costa toscana e aprirne una sua, di libreria. All’iniziativa viene istantaneamente conferito il Premio Pazzia dell’anno. Ha pubblicato il romanzo “Il passato dei sogni” (EdizioniLa gru, 2021). Nel 2019 un suo racconto (“La piuma”) era apparso sul blog Antimateria, della casa editrice Wojtek.
Illustrazione di Ellepi Illustration
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