Un bussare che è la naturale firma dei gendarmi mi strattona fuori dal sonno. Di quelli per nulla riposanti, gonfio d’incubi. Pugni forsennati fanno tremare i cardini. La porta si spalanca appena levo la catenella e tre gendarmi si riversano in salotto. Qualche istante per rimettere a fuoco e calmare la paura d’essere arrestato. Non vorrei dargli altri motivi per trattenersi. Mi avvertono che il capitano ha chiesto del mio violino.
È lei il violinista?
Certo.
Il capitano vuole che prepari qualcosa per l’alba. E che si vesta di nero. Cosa vorrebbe suonassi?
Qualcosa che prepari alla morte. Parole del capitano. Sa di cosa si tratta.
Posso immaginarlo.
Parla l’ufficiale più anziano, alla testa di due alfieri poco più che sbarbati. Rialza la visiera con l’unghia per scoprire gli occhi d’un toro condannato alle tenebre eterne. Mi chiedono se mi è stato già chiesto. Fin troppe volte, direi, se non bastasse un cenno del capo. Sono solo le due, ho un paio d’ore per frugare tra gli spartiti alla ricerca di qualcosa d’appropriato.
Una barchetta giocattolo di plastica gialla sguazzava nella vasca da bagno. O forse navigava tra gli interstizi delle mattonelle del pavimento azzurrine. L’oscurità calava nella stanza. Io planavo sulla barca dall’alto e, mano a mano che le piastrelle si avvicinavano, la barchetta diveniva sempre più grande. La superficie del pavimento adesso brillava, come accarezzata dai […]
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