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Nel cuore della vecchia foresta, vicino alla montagna, presso un tronco cavo
Parole di Vincenzo Moggia ~ Illustrazione di Andrea Innocenti
Posted in Narrazioni on 13 Gennaio 2020 10 min read
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Denket er ein Feuer, er ist Feuer
(Paracelso)

“C’è qualcosa di terribile in questo tronco.”
Era un tronco cavo. Non più grosso né meno di tanti altri. Per arrivarci bisognava addentrarsi nel folto, seguire un antico sentiero seminascosto dalla vegetazione che prosegue per un po’, fino a fermarsi ad una parete rocciosa. D’aspetto non era granché: un affare spoglio, grigiastro, con un buco irregolare poco profondo sulla superficie.
L’uomo aveva pronunciato quelle parole in tono lapidario, senza esitazioni, mentre si trovava a circa sei piedi dal tronco, e si lisciava la folta barba rossiccia con la mano destra. Nella sinistra teneva un lungo bastone intarsiato con ghirigori incomprensibili ai non iniziati; per essere un uomo maturo era robusto e ben piazzato, ma il bastone era notevolmente più alto di lui.
Le persone che si trovavano di presso non osarono fiatare per un paio di minuti buoni. Poi un giovane con una barba scura e sottile, dall’aspetto selvatico, fece un paio di passi in direzione dell’uomo. “Sì, ma cosa?”, disse ad alta voce, sollevando lo sguardo verso l’interno del tronco, per cercare di carpirne il segreto.
“C’è qualcosa di terribile in questo tronco” ripeté l’uomo col bastone, e batté con esso per tre volte per terra.
Nei mesi seguenti nessuno del villaggio di Tylis si avvicinò al tronco più di cento iarde. Non che avessero molte ragioni per farlo, prima: nei paraggi c’era solo il bosco; nessun riparo, nessun corso d’acqua, nessuna pianta rara.
Tuttavia la voce cominciò a spargersi. I ragazzi raccontavano i dettagli di quella memorabile mattina ai coetanei dei villaggi vicini, per impressionarli, o semplicemente per avere qualcosa da raccontare (non è che succedesse spesso qualcosa di nuovo, nella vecchia foresta). Le donne colorivano l’evento nei pettegolezzi, e prolungavano gli scongiuri, includendo richieste di protezione dallo spirito malvagio del tronco cavo.
I guerrieri invece non ne parlavano direttamente; ma se la ridevano volentieri di come i ragazzi e le donne ne parlassero tra loro con grande timore. Provavano una sorta di rispetto ambiguo per gli Anziani e le loro pratiche; non dovevano essere messe in discussione, ma non aveva neanche troppo senso discuterne, diciamo. A ciascuno il suo campo e il suo compito.
Comunque, nessuno di loro si avvicinava al tronco cavo.
Per gli Anziani la faccenda fu un po’ più complicata. Appena le voci si fecero più consistenti, nei villaggi confinanti cominciarono a discuterne con grave serietà. Bisognava preoccuparsi? Offrire sacrifici agli spiriti guardiani della vecchia foresta? Occorreva forse praticare uno scongiuro rituale? O magari dar fuoco al tronco, con tutti i rischi che ciò avrebbe comportato?
Fu deciso che sarebbe stato necessario anzitutto verificare se il vecchio Gwrtheyrn ci avesse visto giusto, o non fosse stato piuttosto vittima di un momento di stanchezza; in caso contrario occorreva Approfondire, quindi Capire, Studiare, Giudicare, e infine Decidere – come recitava il formulario riguardo alle cinque sacre Operazioni.
Così, un giorno d’autunno, un drappello di sedici Anziani dai villaggi confinanti si recò da Gwrtheyrn, presso la sua capanna in mezzo ai due roveri.
Il capo della delegazione, ossia l’Anziano più anziano dell’intera vecchia foresta, si avvicinò a Gwrtheyrn, mentre gli altri rimasero, come voleva il protocollo, a una certa distanza. Batté due volte il lungo bastone per terra, e ad alta voce esclamò: “Gwrtheyrn, siamo venuti per il tronco cavo. Cosa c’è in esso?”
Gwrtheyrn si levò in piedi e lo guardò pacato, lisciandosi la folta barba.
“C’è qualcosa di terribile in quel tronco.”
L’autorevolezza e la ferma decisione della sua affermazione convinsero tacitamente il gruppo a recarsi presso il tronco cavo.
Quel giorno ciascun Anziano fece ritorno al proprio villaggio con un’ombra cupa sul volto. Agli sguardi apprensivi delle donne qualcuno rispose scuotendo la testa, qualcun altro voltandosi dall’altra parte. Tutti attendevano il loro verdetto, perciò in ogni villaggio, presto o tardi, ci fu chi finì per porre domande all’Anziano più autorevole, per sapere cosa fosse accaduto, che fosse stato deciso.
Tutti si sentirono rispondere gravemente: “C’è qualcosa di terribile in quel tronco.”
Da allora anche i guerrieri più sprezzanti cominciarono a nutrire un timoroso rispetto verso il tronco cavo. Così, fu con grande sorpresa che Sir Morcant, cavaliere della stirpe dei Nuallàn, nell’imboccare l’antico sentiero, notò l’espressione atterrita di un guerriero di Tylis.
Si trovava lì per sbrigare delle noiose faccende tributarie per conto di suo padre, il capo dei Nuallàn. Per la verità, aveva accettato soltanto per fare una cavalcata, sfuggire per qualche giorno alla routine; magari, chissà, approfittare della lontananza di Lady Merrygan, la sua consorte, per cercare qualche fugace avventura “romantica” nel fitto della vecchia foresta, nel cuore di quelle comunità che non aveva mai avuto troppa voglia di conoscere (gente provinciale e arretrata, pensava) e che proprio per questo potevano riservare, sotto quell’aspetto, qualche sorpresa.
“Per Fagus, per Lùg, nobile Morcant, non prendete quel sentiero!”
“Questa è bella. E perché mai, Tyliate, non dovrei prendere questo sentiero, se mi piace così?”
“Proseguendo per quel sentiero vi avvicinerete a un tronco cavo.” Evidentemente il giovane capì dall’espressione sul viso di Sir Morcant che questo non gli aveva detto niente, perciò continuò: “Non dovete assolutamente andarci!”
Sir Morcant osservò il giovane guerriero con il volto ugualmente atterrito, ma per tutt’altro motivo. “Un tronco cavo? Vi prendete gioco di me?”
“Non mi permetto, Sir Morcant. É per la vostra protezione che lo dico. Chiedete a Gwrtheyrn, l’Anziano. Vi saprà dire meglio la stessa cosa. Cioè, voglio dire…”
Il ragazzo si zittì e incitò Sir Morcant a seguirlo. Più divertito che irritato, il nobile stette al gioco. I due raggiunsero il centro del villaggio dove Gwrtheyrn stava recitando alcuni canti rituali. In effetti si era al mezzodì, e presto avrebbe avuto luogo il pasto diurno in comune. Il nobile, ostentatamente rispettoso, attese la fine di un canto; poi, prima che il ragazzo potesse aprir bocca, apostrofò l’Anziano: “Vecchio! Mi hanno detto che non devo andare per quel sentiero,” indicò la direzione della montagna, “e che tu mi avresti spiegato il perché.”
Un lieve brusio si diffuse tra la gente. Qualcuno si coprì la bocca in segno di scongiuro. Alcune donne chiusero le orecchie ai loro bimbi. Un tuono cupo si udì in lontananza (in effetti il cielo era coperto, verso ovest; faceva piuttosto freddo).
“Ha blaterato qualcosa a proposito di un tronco,” continuò Morcant.
Gwrtheyrn si lisciò lentamente la barba fulva, guardando prima il nobile, poi a terra, poi di nuovo il nobile.
“C’è qualcosa di terribile in quel tronco,” scandì.
Sir Morcant cominciò a sentirsi più irritato che divertito. “Sciocchezze,” urlò in aria, per poi guardarsi intorno. La gente lo osservava, immobile, incapace quasi di respirare, tra lo sconcerto e il prodigio. “Sono SCIOCCHEZZE!”, incalzò, “Ciarlatanerie ridicole. E cosa ci sarebbe, nel tronco? Una bestia sacra? Un demone divoratore di uomini?”
Gli astanti ricominciarono a parlottare tra loro, mentre Morcant si muoveva nervosamente. “Andrò a vedere questo tronco maledetto,” affermò con un sorriso obliquo. “Chi verrà con me? O siete tutti vigliacchi?”
I guerrieri più valorosi si sentirono punti sul vivo. Non si poteva accettare un’onta del genere! E tuttavia, Gwrtheyrn era stato chiaro: nel tronco c’era qualcosa di terribile. Gli uomini si guardavano tra loro, dubbiosi.
Che fare?
Un giovane con una barba scura e sottile, dall’aspetto selvatico, si fece largo. “Vengo io con voi, nobile Morcant,” esclamò. Morcant lo guardò con una specie di ammirazione. Alcune donne emisero un gridolino soffocato. Certi guerrieri mormorarono che era una follia. Qualcuno fu tentato di imitarlo però, e qualcun altro lo fece. “Vi seguirò anch’io!” “Anche io verrò al tronco cavo.” “Sarò dei vostri!”
Il gruppetto di valorosi ammontava a cinque, compreso Sir Morcant. Gwrtheyrn aveva osservato tutto senza profferir parola, lisciandosi la lunga barba con gesto calmo. Quando Morcant, il ragazzo e i tre guerrieri, vestite le armi, cominciarono a camminare in direzione dell’antico sentiero, batté il bastone per due volte contro il terreno. E tornò, con fare pensoso, verso la sua capanna.
Il cammino doveva durare circa un’ora. Per un po’ nessuno disse niente. Sir Morcant ruppe il ghiaccio, e spiegò ai Tyliati che lo avevano risollevato, che aveva proprio temuto che la superstizione vigesse incontrastata nella vecchia foresta, ma si era dovuto ricredere: qualcuno capace di ragionare si trovava anche in quelle remote propaggini. Si cominciò a parlare di cose da uomini: caccia, donne, faccende militari. Volò qualche risata cameratesca.
Era passata mezz’ora, poco più. Sir Morcant stava quasi per dimenticarsi del tronco cavo – stava chiedendo a uno dei guerrieri se a Tylis si trovasse una donzella libera e facile o comunque degna d’attenzione – quando un altro, che si era distaccato di qualche passo dal resto del gruppo, abbaiò: “Io non ci vengo lì!”
I quattro si voltarono di scatto.
“Mi avete capito? Non ci vengo. Siete pazzi, completamente pazzi voi! Se non avete perso il senno seguitemi adesso!” E cominciò a correre verso il villaggio. Verso la salvezza.
Nonostante le parole di disprezzo, dette in tono non molto convinto, anche gli altri guerrieri presero presto la stessa decisione. L’ultimo tentò disperatamente di far desistere il nobile dal suo intento. “Vi prego, nobile Morcant. Per Lùg, per Fagus. Dovete tornare indietro con me. É pericoloso proseguire oltre!”
“Non ci penso neanche! Se voi siete un vigliacco senza cervello seguite pure i vostri compagni. Presto farò ritorno e vi porterò il vostro tronco terribile: ridotto in trucioli. Così potrò ridere in eterno di voi, gli impavidi guerrieri di Tylis, che scapparono di fronte a un invincibile … pezzo di legno!” E scoppiò a ridere rumorosamente.
Il ragazzo percorse l’ultimo tratto del sentiero in silenzio. Il nobile gli pareva troppo preso dalle sue risate e dai suoi dileggi, per degnare di una qualche attenzione un suo eventuale commento. Scure nubi si addensavano sulle loro teste; ma nubi ancora più scure infestavano la mente del giovane. Ancora una manciata di passi, e il tronco sarebbe comparso tra il fogliame.
Il giovane si arrestò.
“Vi ho portato fino a qui: adesso tornerò indietro anch’io.”
“Ma certo, vai pure tu, va’! Sei come i tuoi compari: un vigliacco senza cervello!”
Il ragazzo osservò immobile qualche passo di Sir Morcant (che intanto aveva sguainato la spada, e ridendo procedeva verso il tronco cavo). Si bilanciò sulle gambe, sembrò quasi sul punto di ripensarci.
Non si era mai sentito battere così forte il cuore in petto; una goccia di sudore gli imperlò la fronte nonostante il freddo.
Ma Gwrtheyrn era stato chiaro.
Sir Morcant fu ritrovato sei giorni dopo dai suoi due fratelli, nel cuore della vecchia foresta, vicino alla montagna, presso un tronco cavo. Il povero corpo era conciato in modo troppo orripilante da potersi descrivere, e nessuno seppe mai di preciso cosa gli fosse accaduto. Una leggenda del luogo ci tramanda le parole che si dice abbia pronunciato prima di morire:
“Non avrei mai creduto che ci fosse davvero qualcosa di terribile in questo tronco…”

di Vincenzo Moggia

Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti


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