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Speculari
Parole di Adriano Manca ~ Illustrazione di Andrea Stendardi
Posted in Narrazioni on 11 Dicembre 2021 10 min read
A occhi spalancati nella notte Previous Next

Keope poggia sul tavolo il bustone pieno di monete vinte alle slot. Mario nota subito le unghie fucsia, ridotte a una poltiglia di carne e smalto, come se Keope stesse cercando di scrostare ogni prova della sue azioni di merda, passate e future.
“Tienili, così non mi rinfacci più niente coglione.”
Gli occhi rossi, un groviglio di venuzze rosse incazzate l’una con l’altra che si mettono d’accordo solo quando hanno davanti Mario.
“Sei bianca come una morta. Tutto il giorno rinchiusa in quel buco. Con quel coglione di mio padre e i suoi amici.”
Mario afferra il sacchetto di monetine. La sua mano è ammaccata, le nocche bombate come borchie di metallo.
Una fitta al polso gli ricorda per l’ennesima volta che lui alla boxe non ha più niente da dare.
Keope inizia a truzzare l’erba che le ha procurato Eros.
“Vammi a comprare il latte, è finito. Voglio fare merenda.”
“Sono le dieci di sera.”
“E allora? Lo decidi tu cosa mangio? Quand’è che ti ho nominato dietologo-ufficiale-di-sto-cazzo?”
Mario la guarda, sotto il rossetto nero intravede i denti serrati, lui non è cattivo come lei, lui non è cattivo.


Eros spegne l’ultima cicca nel posacenere stracolmo, si sporca le mani di nicotina nera, morta. Impreca. Nel bar è rimasto solo Efisio, lo raccatta e lo trascina fino all’angolo di via Angioj, poi lo molla lì, cercando di soffocare il vomito che gli sale per la puzza di merda emanata dall’amico, che si è cagato addosso come al solito.
Tira giù la serranda del bar e si mette a guardare l’ennesimo video di Daniel Negreanu, gli piace il modo in cui gioca a poker, aggressivo, capace di entrare dentro la testa dei suoi avversari. Eros sa che sarebbe più bravo, anche di Negreanu. La sua è sfiga, lo perseguita.
Lui l’idea del secolo l’aveva avuta, smaltire eternit. Lo seppelliva nei terreni dei Marongiu vicino Burcei, tanto quelli non c’erano mai.
Ma è andato tutto a puttane per colpa delle pippe morali di Mario e ora gli tocca fare lo schiavo nel bar di suo fratello, quel gran coglione di suo fratello.  Solo per qualche mese, il tempo di far funzionare il suo piano, sperando che quel coglione di suo figlio non rovini tutto.
Ha già preparato tutto, ha convinto Livio, l’allenatore di Mario, a organizzare un match con Masulas, un pischelletto in rampa di lancio, incazzato con tutti, il gancio destro picchia come dinamite.
Il pischelletto non lo conosce nessuno, lo ha scoperto Eros grazie ad una dritta di suo cugino. Le quote sono a favore di quel coglione del figlio, che neanche lui sa come abbia potuto vincere il titolo regionale da ragazzo. Genetica, pensa Eros.
Gli basterà scommettere su Masulas e tenere Keope lontana da Mario, cinque minuti senza vederla e si butta sotto un treno.


Mario si osserva nello specchio della stanza da letto, illuminato dal lampione fuori dalla finestra, il suo corpo colorato di arancione ruggine sembra un frutto marcio.
Keope è tornata al bar, da Eros. Loro lo sanno, li ha visti, ma non gliene frega un cazzo. Questo è il rispetto che hanno di lui. Suo padre e la sua donna.
Il pugile si guarda le mani, le dita come scoppiate, devastate dagli anni spesi a pestare un sacco.
Poi guarda la sua pancia, cerca di tirarla in dentro. L’occhio gli cade su una foto incorniciata, quella del primo incontro vinto. Gli occhi non sembrano nemmeno i suoi, pieni di vittoria, di strafottente fiducia nell’universo.
Si accorge di qualcosa nello specchio, un oggetto, sotto il letto. Si volta, controlla, sotto il letto non c’è niente. Capisce, uno speculare.
Mario non è un esperto di queste cose, ma sente che è qualcosa di grosso, un pezzo pregiato. I collezionisti faranno la fila per averlo.
Per un attimo ha paura di essersi sbagliato, torna allo specchio, lo osserva, ipnotizzato, un poliedro irregolare, rarissimo, un dodecaedro camuso. Dopo qualche secondo lo speculare inizia a ruotare ed emettere un bagliore madreperlaceo. Gli sembra di stare sott’acqua. Per un attimo dimentica tutto, la sua anima si perde nel vortice, in un oblio balsamico.


Keope guarda fuori dalla finestra dell’appartamento di Eros, mentre lui si gratta il testicolo sinistro e con lo stesso dito scorre lo schermo del telefono in cerca di affari sulla pagina “te lo regalo se vieni a prenderlo: Cagliari-Sud Sardegna”.
Si è ingolosito dopo aver rivenduto la roba di Tullio Pisano, campione mondiale welter, gliel’aveva passata suo cugino Gianni.
Un favore chiesto da Keope, per regalare la roba a Mario, Pisano è, anzi era, il suo idolo.
Eros ha preso sacca, guantoni e scarpe, ma quando Gianni gli ha detto che ci si potevano fare un po’ di soldi, li ha venduti. In fondo Mario ha già la sua di roba da pugilato. Uno dei pochi regali della madre, prima che iniziasse a fottersi quel coglione dell’avvocato Melis.
“Facciamo schifo, Eros.”
“Con i soldi potremo scappare via da questo cesso.”
Keope si mordicchia il pollice, finché non esce un po’ di pus dal bordo rigonfio del dito.
“Quello a Mario l’ammazza, non fa incontri da cinque anni.”
“E quindi? Piscerà sangue per un po’ di giorni, fine della storia, più scemo di così non può diventare.”


“Che ci fai qui? Ti ho detto che per un po’ non puoi fare lezione, sei andato a correre? Devi scendere di peso.”
Mario non riesce neanche a guardarlo negli occhi, a Livio.
L’unico che abbia creduto in lui, che abbia provato a fare di quel pezzo di carne stanca dalla nascita qualcosa di sensato. Anche adesso lo aiuta, gli passa qualche soldo facendolo insegnare al corso di boxe delle 20.
“Come ti è venuto in mente di mollare uno schiaffo a quel ragazzino? Ha 14 anni, suo padre e i suoi cugini volevano spaccarti la testa, Giorgio Sanna non è uno che conviene far incazzare.”
Mario sorride in quel modo strano, quando è nervoso fa così, un tic. Solleva l’angolo sinistro della bocca in un sorriso, mentre l’altra metà rimane neutra. Lo faceva sempre durante i primi incontri, gli avversari pensavano li stesse prendendo per il culo.
Livio guarda la testa pelata e gli occhi scuri di Mario, ricorda ancora quella notte, dopo l’incidente, la ragazzina era appena morta. Eros si era portato via Keope per evitare che Mario la sfondasse di botte, era ubriaca fradicia, mentre riportava a casa sua figlia. Nina aveva undici anni.
“Sei pronto per l’incontro con Masulas?”
“Credo.”
Livio si sente di merda, ha fatto ancora quel sogno. Un buco nel petto, un ragno che finisce di banchettare sul suo cuore secco e grigio, il cielo tagliato dalla scia di un enorme asteroide in rotta di collisione.
Sono tanti soldi, Eros gli ha promesso una bella fetta. Mario non ha speranze, non ne ha mai avute. In certi posti è meglio non nascerci. In certe famiglie neanche.


“Sei sempre stato un buono Mario, la dovresti mollare quella. Si scopa tuo padre e tu la tieni in casa come niente fosse.”
“Tu non lo sai com’è cresciuta.”
Roberta fruga nel suo astuccio e pesca un’altra sigaretta, la decima nel giro di mezz’ora. Giovanni la guarda, poi guarda il posacenere stracolmo, disgustato. Si aggiusta gli occhiali sul setto nasale, dopo un secondo ripete il gesto. Poi guarda ancora il posacenere straripante e ripete una terza volta.
Mario se ne sta in silenzio, accenna un mezzo sorriso. Si guarda i palmi enormi, si stringe il polso.
Roberta guarda lo specchio al centro del bar e nota che nel riflesso c’è qualcosa che sul tavolino ingombro di birre vuote manca all’appello. Capisce di star guardando uno speculare, un minuscolo sottomarino a forma di polpo, una sorta di mini-polpo meccanico. Un giocattolo forse. Difficile capire gli speculari.
Un insetto, per l’esattezza un Micromalthus Specularis, si avvicina svolazzante al tavolo, poggiandosi a mezz’aria e iniziando a camminare su un sostegno invisibile a tutti tranne che all’insetto stesso.
Giovanni non può astenersi dal fare il saccente. Roberta ha già capito, si accende un’altra sigaretta mentre lui si pulisce gli occhiali prima di prendere parola.
“Avete letto sul giornale, quello che dice il professore di Amsterdam? Van Leeuwen? Questi affarini…”
Prende tra le dita il coleottero, che inizia a vorticare le zampe disperato.
“Questi affarini sono gli unici esseri di questo universo capaci di interagire fisicamente con gli speculari. Siamo l’apice dell’evoluzione e questi cosetti buffi e stupidi possono toccare il più grande mistero capitato all’umanità da millenni, mentre noi possiamo solo guardare e non toccare, e solo in dei cazzo di specchi.”
Roberta spegne la cicca, rimane un attimo sospesa e poi ne prende un’altra.
“A me piace questa cosa che puoi vederli solo nello specchio, è poetico. Non poterli toccare o vedere da questa parte, nel mondo reale, rende la cosa più bella, effimera.”
Mario prende dalle mani di Giovanni il Micromalthus, con garbo e insospettabile delicatezza. Se lo mette sul palmo e lo fa volare via.
“Ho contattato il tuo amico collezionista.”
Dice a Giovanni.
“Non dico un cazzo, scelta tua.”
“Mi aiuterà per l’incontro in cambio dello speculare, è un pezzo grosso nel mondo della boxe.”
“È un dodecaedro irregolare Mario! Sai quanti ne avevano avvistati finora? Otto! Ma non qui, nel mondo. Avresti dovuto contattare il comune, casa tua sarebbe diventata un museo. Invece lo vendi per due spicci, per vincere un incontro di cui non frega un cazzo a nessuno.”
La sabbia del Poetto è ancora umida. È l’alba, una ferita arancione dilania il cielo e lo separa dal mare sonnacchioso d’indaco. Qualcuno già nuota.
Le mani bruciano, i polsi lanciano fitte martellanti. Ha vinto. Ha vinto perché l’altro si è lasciato colpire da un montante destro al settimo round, così era stato deciso. Ha vinto in cambio di uno speculare, un affarino di cui a lui non frega nulla. Ha vinto per Nina. Forse un giorno guarderà uno specchio e ci vedrà sua figlia, grande, donna, col sorriso di sua madre ma senza la sua cattiveria.
Eros guarda Keope, tira fuori dal freezer un ghiacciolo e glielo piazza sull’occhio tumefatto.
“Ci ha fottuto.”
Dice Keope, sorridendo sotto lo smalto nero. Ama Mario, a modo suo, ma lei è marcia dentro, marcia di una muffa ereditaria, le cui spore si diramano nel passato, nel presente e nel futuro, fottendosene allegramente dell’entropia.

di Adriano Manca

Adriano Manca fa il copywriter, ha una laurea in filosofia della mente e ultimamente si è infilato nella bolla degli nft, suoi racconti o articoli sono apparsi su L’inquieto, Bomarscé, Rivista Blam, Art Tribune.

Illustrazione di Andrea Stendardi


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