«Accidenti» disse Runcible.
«Non si sa mai cosa può succedere da un momento all’altro.»
(Philip K. Dick, L’uomo dai denti tutti uguali)
Si svegliò di soprassalto, affamato d’aria. L’orologio a led disegnava sul muro un’ora assurda, per i suoi standard: erano le tre di notte passate. La sua prima domanda fu: “Perché mi sono svegliato tutto d’un tratto?” E poi: “…perché fatico a respirare?”, ma subito dopo quella sua apnea sparì veloce come era arrivata; l’unica cosa che tornò a far capolino era la voglia di dormire. Peccato che il suo corpo la pensasse diversamente, agitandosi spasmodico come un relitto in balia delle onde. Era straniato, in effetti. Tanto valeva cercare di capire che cosa fosse successo. Come prima cosa, si diresse ai filtri dell’aria: anche nella sua casa aveva montato da anni quei dispositivi di pulizia che risucchiavano tutto lo schifo che veniva da fuori o ristagnava dentro, per risputarlo più pulito del sedere di un bambino. Ma ogni tanto, come valeva per i pannolini, anche i filtri andavano cambiati; “ogni tanto” voleva dire “ogni decade”, grosso modo, e se non ricordava male erano trascorsi solo sei o sette anni, non di più. Ciabattando per le stanze, controllò meticoloso tutti i bocchettoni. Ad un certo punto, si arrestò con le mani a mezz’aria: una delle reti dei filtri presentava uno squarcio irregolare di circa una ventina di centimetri. “Merda”, pensò. Si diresse rapido nel suo studio, a cercare una torcia tascabile. Tornò altrettanto rapido al bocchettone d’aria, che frusciava i suoi lamenti con un sibilo fastidioso. “Perché non ci ho fatto caso prima? Perché ho il sonno pesante, ecco tutto.” Tuttavia, quella non era una risposta. Puntò la luce lungo il condotto, un ricettacolo di cose disgustose che avrebbe catalogato l’indomani, sempre ne avesse avuto voglia. O tempo. “Merda”, fu il suo rintoccato pensiero, ignaro se riferirlo a quanto vedeva o quanto più temesse. O tutte e due le cose assieme, contemporaneamente.
Corse sudaticcio in bagno. Nella foga perse pure le ciabatte, ma chissenefrega, si disse piombando dinnanzi allo specchio, con la pila sempre in una mano. Aprì la bocca e puntò il fascio di luce verso il suo palato, esplorandolo accuratamente e cercando di cogliere un seppur minimo indizio. Lo aveva imparato nelle svariate esercitazioni mediche che, assieme ad altri cittadini ligi al dovere ed al rispetto delle regole, aveva dovuto seguire in quegli ultimi anni. Non vide nulla di particolare. “Per fortuna.” Quindi, fece presa sotto le palpebre per scrutare nel bianco dei suoi occhi. E vide la cosa. Stava lavorando alacremente dal naso, scavando con meticolosità senza fargli alcun dolore, e senza emettere alcun rumore. Entro la mattina seguente, avrebbe raggiunto il suo cervello, ne era sicuro. L’aveva letto su uno di quegli opuscoli che si trovavano sempre nelle buchette, tipo i giornalini dei Testimoni di Geova o i dépliant dei supermercati. Corse fuori dal bagno verso la sua stanza da letto e, per scaramanzia, prese uno di quei fascicoli, custodito nel primo cassetto del comodino, polveroso come le bibbie negli hotel americani.
Le raccomandazioni le conoscevano tutti quanti, a memoria. “Di notte…” si ripetè mentalmente, per tenersi sveglio o per farsi compagnia “…ricordate di chiudere tutte le finestre e di filtrare l’aria con dei sistemi opportuni, anche rudimentali. Basta solo che non lasciate entrare in casa vostra i…” Guardò nell’opuscolo che stropicciava tra le mani sudate, e vide l’immagine sfuocata di quello che adesso stava tranquillamente banchettando con il suo corpo. “Nel malaugurato caso che uno di questi esserini riesca ad attaccarvi, dovete fare una sola cosa: mantenere la calma, ed aspettare il giorno seguente. Quando avrà raggiunto il vostro cervello, tranquillamente smetterà di scavare. Dopodiché, potrete contattare questo numero verde, attivo 24/7.” Seguiva il numero di telefono che avrebbe composto l’indomani. Poteva bluffare, tentare quella sera stessa? L’ansia gli cresceva nel petto come un’onda anomala. Ma se l’opuscolo raccomandava… “Vaffanculo!” urlò, ma in casa c’era solo lui, e le pareti dell’appartamento erano abbastanza insonorizzate da impedire reciprochi disturbi fuori orario. Sì, poteva ben permettersi di imprecare. Che cavolo fare, ora? Far mente locale, e cercare di addormentarsi, tranquillamente. C’era pur scritto, no? Lasciare il mostriciattolo libero di compiere il suo sporco lavoro, quindi chiamare il numero dedicato. Aspettare, chiamare, ancora aspettare. Stop. Era semplice. L’unica cosa di cui aveva bisogno adesso erano chili di pazienza e calma, anche se quelle purtroppo non si rimediavano come pacchi scorta al supermercato sotto casa. Si addormentò con il cuore in gola. E l’esserino che avanzava indisturbato nel suo corpo.
Il giorno seguente sorprese l’uomo ancora in bagno, ad esaminare allo specchio il lavoro certosino di quell’animale che gli stava mangiando la faccia, o buona parte di essa. Se non fosse per quello che vedeva, non si sarebbe accorto di nulla, a parte ogni tanto il respiro faticoso e sibilante. Tutto sommato, era un lavorio più efficiente di tanti cantieri che aveva visto spuntare come funghi, nella sua vita. Ad ogni modo, aveva lo stomaco chiuso, di fare colazione non se ne parlava, tra l’altro non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a mangiare con quella sottospecie di tarlo che banchettava senza sosta con la sua carne. Cercò di distrarsi, di guardare la televisione, di meditare nella posizione del Loto. Era tutto abbastanza difficile, a farsi. Tutti i suoi pensieri non potevano che focalizzarsi su…Quando avvertì un solletico particolare in mezzo agli occhi, capì che quel bastardo aveva raggiunto il suo tessoro. Era un qualcosa di allucinante, ma negli anni i continui proclami e slogan lo avevano reso meno sensibile a questa assurdità. Compose il numero indicato, una musichetta irritante lo fece attendere una decina di minuti prima che una voce umana gli rispondesse. Gli spiegò pazientemente tutta la storia, ed altrettanto pazientemente ascoltò le raccomandazioni, grosso modo preconfezionate, elargite dal gentile operatore. Come impostogli, rimase fermo e muto, tutto il pomeriggio seduto sul divano, lo sguardo perso nel vuoto dei suoi pensieri che, piano piano, venivano cancellati. Si rendeva conto che tutti i suoi ricordi lentamente, gradualmente, scomparivano, e poi si dimenticava che ciò era accaduto. Partendo da lontano, veniva via via eliminato tutto ciò che, in fondo, costituiva la sua identità, la sua storia. Uno alla volta, goccia a goccia, e così via, inesorabilmente, inevitabilmente. In sostanza, la sua mente si svuotava, si liberava delle cose belle e brutte, felici e tristi, ricordi assurdi e progetti andati alla malora. Con un tragico sarcasmo, si disse che in fondo non era una brutta cosa dimenticarsi di quell’arpia di sua…niente, svanì anche quel ricordo.
A sera inoltrata rimase ciò che sembrava un involucro vuoto, per certi aspetti; il giorno dopo, dalla clinica sarebbero venuti a ritirare quel simulacro. Per il momento, il corpo sembrava un semplice manichino, con gli occhi spalancati nella notte.
di Luca Cassarini
Luca Cassarini è nato a fine Luglio di una trentina di anni fa. Suoi racconti sono comparsi in un’opera collettiva, un paio di antologie, alcune riviste online. Grafomane incallito, scarabocchia sotto pseudonimo sul proprio blog Scritture Artigianali.
Illustrazione in copertina di Beatrice Nicolini
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