«My dream is for the United States
to travel to the stars.»
Carl Allen
Sulle tracce di Allende. “Carlos Miguel Allende” è forse il personaggio più misterioso e sfuggente tra quelli che qui presentiamo. Il mistero comincia con il nome: quando il personaggio compare nella storia, all’inizio del 1956 con la sua prima lettera a Morris Jessup, la lettera è intestata a Carlos Miguel Allende, ma è firmata Carl M. Allen. L’indirizzo del mittente è una casella postale di New Kensington, Pennsylvania, ma la lettera è inviata dal Turner Hotel di Gainesville, Texas. Secondo quanto afferma Brad Steiger nel suo libro del 1968 sull’argomento, New UFO Breakthrough: The Allende Letters (scritto con Joan Whritenour), un investigatore si sarebbe recato a New Kensington in cerca di Allen, ma presso quell’indirizzo avrebbe trovato soltanto una fattoria vuota. Vero è che, durante gli anni successivi all’esplosione del caso, molti individui tentarono di farsi passare per il “vero” Carl Allen; così come è vero che l’autentico Carl Allen – lo si vede anche solo semplicemente dagli indirizzi da cui spediva le sue lettere e cartoline, a vari personaggi dell’ufologia e redazioni di giornali – in vita viaggiò molto in giro per gli USA, soprattutto fino agli anni ’70, conducendo un’esistenza “itinerante” e cambiando spesso il proprio pseudonimo.
Tutto questo fa pensare che non sarebbe dovuto essere facile trovare “Allende”. In realtà, nella seconda metà degli anni ’70 la leggenda cominciò a dissolversi, facendo posto a una più prosaica verità. Vari ufologi e giornalisti riuscirono a rintracciare con estrema facilità il “vero” Carl Allen e intervistarlo, oltre che ad ottenere informazioni su di lui e sulla sua famiglia. Prima di arrivare a questo punto però, ripercorriamo i momenti principali attraverso i quali si sviluppa la storia di questo personaggio, e della sua creazione (l’Esperimento di Filadelfia), dopo la morte di Jessup.
Nel 1962 Riley Crabb, scrittore, ricercatore che in vita fu anche direttore dell’associazione Borderline Sciences Research Associates Foundation, pubblica M.K. Jessup, the Allende letters and Gravity. A questa circostanza risale la primissima pubblicazione delle “lettere di Allende” e di alcune pagine dell’ed. Varo. Gray Barker, come abbiamo visto, fiuta l’affare e nel 1963 ribadisce, dalle pagine della sua Saucerian Press, con The Strange Case of M.K. Jessup. In esso, tra l’altro, afferma di aver ricevuto una lettera, da una fonte vicina ad ambienti militari (tale “Colonel B”), secondo la quale l’intera storia del Phil. Exp. è un falso, ma con un fondo di verità nel fatto di avvicinarsi alla descrizione di esperimenti realmente verificati negli anni ’30 e ’40 e di natura “molto meno drammatica”.
Nel 1965 esce un libro seminale di Vincent Gaddis, Invisible Horizons, che è anche l’atto di nascita ufficiale di un altro mito dei nostri tempi, quello del “Triangolo delle Bermuda”, sebbene già se ne trovino indizi in precedenza, addirittura nel primo libro di Morris Jessup. Gaddis tenta di creare un collegamento concettuale tra i fenomeni del “triangolo maledetto” e il presunto Phil. Exp.
Intanto bisogna dire che Allen si stava facendo sentire scrivendo lettere peregrine ai vari ricercatori nel campo. Nel 1967 scrive a Jacques Vallée dopo aver letto uno dei suoi primi libri sugli UFO; gli invia una cartolina illustrata con una “vista notturna dei grandi magazzini Sanger Harris di Dallas”; ma soprattutto sembra determinato a trarre un guadagno dalla sua storia: in una lettera di 15 pagine, lo informa che per 750 dollari (al tempo una bella cifra) poteva acquistare da lui le cianografie con le istruzioni per la costruzione di un disco volante, e per 6000 dollari la sua personale copia dell’ed. Varo, che chiama “il libro che uccise Einstein (tanto grande fu il suo impatto psicologico sul buono & gentile Einstein)” – senonché Einstein morì nell’aprile 1955, quindi due anni prima della materiale produzione dell’ed. Varo e qualche mese prima del probabile lasso di tempo in cui fu annotato l’originale. Un’altra sconcertante rivelazione fatta a Vallée riguarda un evento che coinvolse la “S.S. Maylay”, una nave di cui non si sono potute trovare notizie di nessun tipo e che nell’estate del 1947 avrebbe colliso con un UFO del diametro di 500 metri. Un sopravvissuto alla collisione gli avrebbe raccontato che l’esplosione gli fece cadere i capelli a ciocche e che al mattino dopo la Maylay era ricoperta di “capelli d’angelo[1]”.
Intanto nello stesso anno Brad Steiger, altro scrittore forteano estremamente prolifico, pubblica sul numero di novembre del “Saga Magazine” un articolo con le riproduzioni di alcune pagine dell’ed. Varo e un resoconto “sensazionalizzato” della vicenda. Steiger sta promuovendo un suo libro di prossima uscita sugli UFO e sulla vicenda di “Allende” e sul Phil. Exp.: Allen scrive molte lettere di protesta all’editore di Steiger, facendo pressioni perché il materiale in questione sia soppresso. Ma Steiger e il suo editore hanno fiutato l’affare, e così non solo ignorano le proteste di Allen, ma fanno uscire il libro perfino con Allen menzionato tra gli autori! Negli anni successivi Steiger scriverà alcuni altri libri contenenti almeno una parte dedicata alla vicenda e arriverà a teorizzare che Allen rappresenti un potere extraterrestre, giunto sulla Terra secoli or sono e attualmente attivo (in senso cospirazionista) sul nostro pianeta.
Il 1967 è anche l’anno di uscita del libro di Sanderson Uninvited Visitors, che contiene una ristampa delle lettere di Allen e di alcune pagine dell’ed. Varo. Con il libro di Steiger e Whitenour già citato, siamo arrivati al 1968. Forse preoccupato per le dimensioni che la storia sta assumendo, Allen crolla e nel 1969 si presenta nei locali dell’APRO (Aerial Phaenomena Research Organization) di Tucson, Arizona, per confessare (con una dichiarazione firmata) a Jim Lorenzen, al tempo direttore dell’APRO, che la sua storia è una montatura (“la più assurda serie di menzogne che abbia mai scritto”), messa su per “spaventare” Jessup e farlo desistere dallo scrivere sugli UFO. Afferma anche di essere malato di cancro e che sarebbe morto di lì a poco. Ma la storia è ben lungi dal finire qui.
Cresce la leggenda. Nel 1973, come abbiamo visto, esce l’edizione Barker dell’ed. Varo di The Case for the UFO. Nel 1974 esce The Bermuda Triangle di Charles Berlitz, che contiene anche un capitolo sul Phil. Exp. Nel frattempo Kevin Randle rende note le sue scoperte fatte intervistando Sidney Sherby e nel 1976 esce un articolo per l’Official UFO Magazine, scritto da B. R. Strong (ricercatore e amico di Kevin Randle), che tratta l’intera vicenda come un falso basandosi sulla confessione di Allen e sulle rivelazioni di Sherby. Barker, tra gli altri, aveva sottolineato la stranezza dell’interesse di ambienti ufficiali militari per l’ed. Varo; con l’intervista di Randle, questa traccia cade.
Nel luglio 1977 (Allen è ormai una leggenda in ambito ufologico) James Moseley, noto ufologo e amico di Gray Barker[2], riesce a rintracciare Allen a Prescott, Arizona, e i due registrano un’intervista che intitolano “Carlos Allende Speaks”. La cosa più importante che emerge è che Allen confessa di essere l’autore delle annotazioni sull’ed. Varo e spiega come sia riuscito a contraffare tre diverse calligrafie, anche se non spiega il motivo che lo spinse a farlo. Da allora Allen comincia a scrivere spesso a Barker. Il 1977 è anche l’anno di Without a Trace, di Berlitz, che come abbiamo visto contribuisce a mantenere vivo l’interesse sul suicidio di Jessup e sul Phil. Exp.
Nel 1978 Allen prende casa a Benson, Minnesota, e l’anno successivo si sposta nella vicina Montevideo. Il 28 giugno di quell’anno il “Montevideo American News” riferisce in un articolo che Allen si reca sovente agli uffici del quotidiano, “da quattro a cinque volte al giorno”, e lo descrive così:
“È alto, magro, veste in stile occidentale e di solito indossa un cappotto di lana. I suoi argomenti preferiti sono il comunismo e la condizione delle ferrovie del Milwaukee. Afferma di essere l’autore di svariati testi su argomenti scientifici e asserisce che il suo nome è menzionato in numerosi altri libri. Dice di essere una ‘persona controversa nei circoli scientifici, un famoso linguista internazionale e scrittore’. In Montevideo così come a Benson chiese aiuti finanziari alla comunità religiosa e all’Esercito della Salvezza.”
In quell’anno esce anche il primo racconto di fiction ispirato al Phil. Exp., Thin Air di George Simpson e Neal Burger.
Il 1979 è l’apice della leggenda (ingrata) di Allende e un momento decisivo nella creazione del mito del Phil. Exp. Il libro The Philadelphia Experiment: Project Invisibility è infatti una pietra miliare per la diffusione mediatica di questa storia, e ha un’eco notevole anche fuori dagli ambienti strettamente interessati all’ufologia. Sebbene il libro non sia un capolavoro di stile espositivo né particolarmente ricco di documenti o fatti sufficientemente dettagliati e verificabili, riesce ad impressionare molti. Secondo il parere degli autori, la “confessione” di Allen all’APRO sarebbe falsa. A quanto scrivono, Allen, irritato dal fatto che altri (Steiger in particolare) stessero facendo soldi con la sua storia, si sarebbe “vendicato” con la confessione all’APRO, che però non riguarderebbe la parte in cui parla del Phil. Exp., ma solo le annotazioni dell’ed. Varo.
Tre sono i passaggi cruciali di questo libro. Il primo è un’intervista ad Allen. Moore, che vive vicino a Montevideo, racconta di essere riuscito a trovarlo lì e ad intervistarlo. La scarsità di notizie concrete – date, nomi, fatti – che Allen dà a Moore sorprende. Gli dice in sostanza che non sa nulla di più di quanto abbia già scritto a Morris Jessup. L’unica aggiunta sostanziosa che fa riguarda la nave coinvolta nell’esperimento famigerato del 1943, che identifica come la “DE 173”. Racconta di aver visto una volta un uomo su un molo svanire nel nulla, ma di non ricordare né la data né di quale molo si tratti. Ammette di aver esagerato nel racconto fatto a Jessup, in particolare riguardo agli effetti sui marinai, e spiega che lo ha fatto per spaventarlo, per il timore che, compiendo ricerche sulla Teoria del Campo Unificato di Einstein, l’esistenza tutta della società umana sarebbe stata in pericolo. Tuttavia, continua a sostenere di aver visto la nave scomparire, e che il nucleo della storia è reale; sebbene perfino gli autori sottolineino che Allen non offre sufficienti informazioni per provare che stia dicendo la verità e che l’esperimento sia realmente avvenuto. Interessante è il racconto che fa di un momento particolare durante l’esperimento, in cui afferma di aver infilato un braccio nel vasto campo di forza che circondava la DE 173, sentendolo spingere verso l’esterno dall’energia elettromagnetica. Si chiede come abbia potuto sopravvivere pur avendo toccato un simile campo di energia – e si risponde: “perché indossavo stivali di gomma e la giubba da marinaio”.
Il secondo è un presunto stralcio di giornale che gli autori avrebbero ricevuto per posta da fonte anonima. Il trafiletto si intitola: “Strani fatti riguardo a una rissa da osteria”. In esso, si afferma che due marinai sarebbero entrati in una taverna della zona, causando un po’ di sensazione poiché sarebbero svaniti nel nulla spaventando i clienti e le cameriere. L’articolo, se fosse autentico, confermerebbe un’affermazione fatta da Allen in una delle sue lettere a Jessup. Ma, come hanno fatto notare vari ricercatori successivamente, ad esempio Kevin Randle, il trafiletto portato da Moore e Berlitz come prova presenta vari problemi: non vi si trovano informazioni di sorta intorno a nomi, date, luoghi, e non si legge il nome della testata. Randle afferma di aver fatto dei confronti con lo stile editoriale dei giornali locali e di non aver trovato alcuna corrispondenza. Inoltre, fa notare Randle, come fonte non è credibile perché disobbedisce a tutte le note regole basilari del giornalismo di scuola americana: “Who, What, When, Where, Why and How”. Allen in realtà aveva parlato anche di un altro articolo, di un giornale locale e concomitante al presunto esperimento, in cui avrebbe letto della sparizione di una nave a Norfolk. Gli autori avvertono però che ricerche sugli archivi dei giornali locali, condotte da loro stessi e, in modo indipendente, da Riley Crabb, non hanno confermato l’esistenza di tale notizia.
La terza e ultima parte notevole del libro di Berlitz e Moore è l’intervista a un presunto ufficiale della Marina, tal Dr. Rinehart (nome fittizio). Il punto cruciale delle rivelazioni di Rinehart, che secondo il racconto mostra evidenti segni di paura durante l’intervista, è che l’intenzione originale dell’esperimento era quella di “piegare la luce” per ottenere un “effetto miraggio” e arrivare all’invisibilità ottica della nave. Come nome in codice per l’esperimento afferma di non ricordare con precisione, ma menziona due nomi: “Project Mirage” o “Project Rainbow”. Con quest’ultimo nome spesso sarà identificato il Phil. Exp. in seguito (sebbene sia noto che con il nome in codice Rainbow, l’Esercito degli Stati Uniti avesse indicato durante la II° guerra mondiale l’Asse Roma-Berlino-Tokyo, e negli anni ’50 un progetto per rendere invisibile ai radar un aereo, il Lockheed U-2).
Lo strano caso del Dr. Allen e di Mr. Allende. Il libro di Berlitz e Moore è un successo editoriale che fa entrare definitivamente il Phil. Exp. nell’immaginario collettivo: da questo momento, esso seguirà una sua strada distaccata da quelle di Allen, Jessup, Barker e dell’ed. Varo, tanto che, qualche tempo dopo, molti di coloro che conoscono il Phil. Exp. non sapranno nulla di tali retroscena, che man mano vengono quasi dimenticati anche dalla maggior parte degli appassionati dell’ufologia o della fantascienza. Questo è dovuto in parte anche ad un importante articolo che Robert Goerman pubblica nel 1980 su “Fate”, che contribuisce a smitizzare tutta la vicenda di Allende – mentre la storia del Phil. Exp. di per sé continua ad affascinare molti, e ad ispirare libri (come il recente Secrets of the Unified Field di Joseph Farrell[3]) e addirittura film. L’omonimo film di Stewart Raffill esce nel 1984 e diffonde definitivamente la storia tra le grandi masse, ottenendo un grande successo e ispirando un sequel – e anche una bizzarra appendice dell’intera storia, il “Progetto Montauk”, cui qui possiamo solo accennare.
Prima della pubblicazione dell’articolo di Goerman, come abbiamo visto, Allen aveva uno status semi-leggendario. E aveva anche cercato di cavalcarne l’onda: poco dopo la pubblicazione del libro di Berlitz e Moore, infatti, ritrattava la confessione fatta all’APRO, dicendo che vi era stato obbligato dalla CIA. Dopo l’articolo di Goerman molti smettono di dare credito al bizzarro personaggio, e lui stesso ne viene molto irritato, al punto da scrivere a suo padre che avrebbe sparato a Goerman! Addirittura William Moore, convinto assertore della credibilità di Allen, in seguito afferma in più occasioni di pensare all’intera vicenda come a un falso, una storia non sua che Allen diffuse a partire da qualche voce che correva tra i marinai al tempo in cui prestò servizio, magari nata da un’allucinazione. Come mai l’articolo di Goerman (“Alias Carlos Allende: The Mystery Man behind the Philadelphia Experiment”) riesce ad avere un tale effetto?
Goerman in esso racconta di aver rintracciato, l’anno precedente, la famiglia degli Allen che, incredibilmente, abitano vicino a lui a New Kensington. Tanto che lui e il padre di Carl, il settantenne (al tempo) “Harold” Allen (i nomi dati da Goerman sono fittizi, per preservare la privacy degli interessati), già si conoscevano almeno di vista. Quando li incontra, racconta loro delle dicerie riguardo al fatto che alcuni ricercatori avrebbero trovato una fattoria vuota al loro indirizzo. “Strano”, risponde il fratello di Carl, “noi abbiamo vissuto sempre qui, e la casa vuota più vicina è a cinque miglia. Ma i vicini ci conoscono e avrebbero condotto qui chiunque avesse cercato Carl”.
Harold porta a Goerman un involucro pieno di documenti che riguardano il figlio. Ad esempio c’è una copia dell’ed. Varo, autografata, con una lettera in cui scrive: “cari mamma e papà, in allegato c’è un libro che ho scritto insieme al prof. Morris K. Jessup all’Università di Michigan quasi 24 anni fa… lo aiutai a scriverlo da solo (senza nessun ‘mr. A’ o ‘B’) … con affetto, vostro figlio, Carl M. Allen”. Ci sono molti altri documenti, ad esempio ritagli di articoli di giornale sulla vicenda, e il libro di Berlitz e Moore: il tutto è annotato alla solita maniera. C’è anche il suo certificato di servizio per la Marina, firmato William Durham, e con il codice che coincide con quello dato da Allen a Jessup nelle lettere: Z-416175.
Goerman prosegue raccontando la “prosaica verità” sull’uomo Carl Meredith Allen, nato alle 6:30 del mattino il 31 maggio del 1925 a Springdale, Pennsylvania. Carl è il maggiore di cinque figli, quattro maschi e una femmina. Nessuno in famiglia ha sangue gitano. I suoi parenti lo descrivono a Goerman come un tipo da sempre prono a una fertile fantasia e anche come un “maestro della presa in giro”. Dicono che legge molto, e che porta sempre con sé matite e penne per annotare tutto ciò che legge. Ricordano un episodio, avvenuto mentre lavorava a DuBois, Pennsylvania, in cui Carl riuscì a ingannare tutti fingendo un malore in modo così convincente, che i medici sentirono la necessità di fargli tre elettrocardiogrammi in cerca di un problema che non c’era. Da piccolo evitava la scuola ogni volta che poteva, spesso dormiva in classe, ma si era dimostrato molto versato in matematica e scienze. Il fratello ne parla come di una “mente fantastica”, che però non ha mai usato veramente; Carl “non ha mai lavorato in un posto tanto a lungo da guadagnare abbastanza”.
Goerman scrive anche qualcosa sul Phil. Exp.: fa notare che Allen, coerentemente con quanto affermato su di lui dai fratelli, ha dato diverse versioni in merito alle navi coinvolte nel famoso esperimento. Nelle lettere a Jessup non menziona il nome della nave. A Moore parla della “DE-173”. In una lettera allo stesso Goerman, scrive che ci sono due DE-173 in grado di diventare invisibili. Nella versione annotata del libro di Berlitz e Moore che Allen invia ai genitori nel Natale del ’79, afferma che si sarebbe confuso in merito e che in realtà si trattava della DE-168. Sia come sia, dal libro di Berlitz e Moore in poi, la nave associata col Phil. Exp. è rimasta la DE-173, il cacciatorpediniere S.S. Eldridge.
Ecce homo. Secondo notizie riportate dal ricercatore David Halperin[4], Allen serve l’esercito nella Coast Guard tra l’ottobre 1943 e il settembre 1947, su vari navi tra cui la Furuseth. Riceve una pensione di servizio, che però viene riconsiderata e interrotta nel 1954. Si trasferisce spesso, fa una vita nomade. Ama molto la cultura gitana, al punto di “ispanizzare” il suo nome in Carlos Miguel Allende (con questo pseudonimo si farà infatti conoscere e chiamare specialmente negli ultimi tempi), e anche di confessare in una lettera ad una sua psichiatra che da giovane sarebbe voluto diventare un chitarrista gypsy-folk, ma che il destino scelse per lui diversamente, che “studiasse fisica con Albert Einstein e George Gamow”. Nell’ultima parte della sua vita si stabilisce in Colorado.
Nel 1983 è appunto a Boulder, Colorado, che lo intervista la giornalista e divulgatrice scientifica Linda Strand. Allen non fa particolari rivelazioni, ma la informa che tutti coloro con cui aveva parlato del Phil. Exp. erano morti in circostanze misteriose, e la avverte: “Entro due anni lei sarà morta stecchita[5]”. Nel 1984 muore Gray Barker; ma Allen, ignaro, continua a scrivergli come faceva da anni. Il 22 dicembre 1985 ad esempio gli invia i diari di bordo della Furuseth, i quali, scrive, “ufficialmente non esistono”, così come lui e gli altri 37 testimoni del Phil. Exp. E aggiunge in un poscritto: “P.S. Sto lentamente morendo.”
Il 22 agosto 1986, sul “The News of Colorado Centennial Country”, esce l’ultima intervista pubblica a Carl Meredith Allen, ad opera del giornalista Jim Frazier che lo incontra l’anno prima a Greeley, Colorado. Si intitola “Mystery man offers death bed statement – Riddle of Carlos Allende resolved”: anche in questa estrema occasione, il personaggio prevale sulla persona. L’intervista si può trovare sul web e merita una lettura completa. Il giornalista descrive un Allen magro, malato, ospedalizzato per il cuore. Come sempre con le tasche piene di penne e matite, Allen fa le ultime sconvolgenti rivelazioni. Afferma che il Phil. Exp. è ripetibile, e che gli Stati Uniti dovrebbero ripeterlo, per poter arrivare al viaggio interstellare. Racconta di come, dopo che ebbe messo il braccio dentro il campo di forza che avviluppò la DE-168 (non la Eldridge, notiamo) in quel lontano autunno del 1943, Einstein lo interpellasse per chiedergli cosa avesse sentito; e come, nelle settimane successive, gli tenesse un “rapido corso di fisica dell’invisibilità”. Si corregge sul colore della luminosità del campo di forza: non blu o verde, come viene detto nel libro di Berlitz e Moore, ma ultravioletto (sic!). Rivela che “ci sono prove che abbiamo la tecnologia per viaggiare a 4, 5 volte la velocità della luce”. Il giornalista gli chiede se ha paura per la sua vita. Allen risponde: “Sempre. Mi nascondo continuamente, specie dai comunisti. Jessup non si suicidò. Dal momento che sono le mie ultime dichiarazioni pubbliche, voglio dire che lo incontrai due anni dopo la sua presunta morte. Parlammo per una notte intera; aveva ucciso l’uomo che avrebbe dovuto ucciderlo, e assunse le sue generalità”.
Nel 1994 Carl Meredith Allen, ormai quasi dimenticato, muore in una casa di cura in Colorado. C’è qualcosa di grandioso e triste nella sua storia, così come in quelle dei suoi “compagni di avventura per caso” Morris Jessup e Gray Barker. Senza la sua fantasia, come ha scritto Brian Dunning, il secolo scorso sarebbe stato meno interessante. Tuttavia, il mito che contribuì a creare ha preso una sua strada emancipandosi dall’autore, il cui nome è ancora oggi presente soltanto a pochissimi. Né in vita egli ne trasse particolari guadagni: anzi, altri hanno guadagnato e prosperato vivendo di rendita sulla sua creazione, a partire da Charles Berlitz e William Moore, che con il libro del 1979 si arricchirono e poterono lasciare i loro impieghi fissi, per dedicarsi pienamente alla scrittura nel campo dei misteri e delle cospirazioni; fino ad arrivare ai sedicenti protagonisti del “progetto Montauk”, delirante epigono del Phil. Exp. che nelle loro storie assume i connotati dei più grotteschi e selvaggi romanzi di fantascienza.
Nel marzo del ’99 i marinai che servirono sulla Eldridge (che, come abbiamo visto, continua ad essere associata al Phil. Exp. nonostante la “ritrattazione” di Allen su questo punto) si incontrano ad Atlantic City per una rimpatriata conviviale; un giornalista segue l’incontro e interroga alcuni di loro sul Phil. Exp. Loro rispondono di trovare la storia ridicola, e di essere stufi di sentirsi rivolgere domande in merito; anche perché la Eldridge non attraccò mai a Philadelphia. La cosa è confermata da una “FAQ” ufficiale resa pubblica dall’U.S. Navy nel 2000, in risposta alle continue e insistenti richieste di “disclosure” che continuano ad arrivare ai loro uffici. Ciononostante, il Phil. Exp. continua a rimanere nell’immaginario collettivo e ispirare la creatività di molti, alcuni in buona fede, altri meno. Vale la pena di chiudere questo capitolo riportando le osservazioni finali sul caso di due ricercatori che abbiamo già menzionato, John Keel e Kevin Randle.
Nella parte finale della lettera a Robert Goerman del 10 agosto 1983, Keel rivela che era stato lui stesso a mettere in contatto Moore e Berlitz e a passar loro tutti i suoi “files” su Allen (compreso quanto sapeva sull’ed. Varo), descrivendo l’intera storia come “una triste, demenziale faccenda”, cui avrebbero fatto meglio a non dare importanza. Eppure, prosegue, col loro libro si sono arricchiti; e non lo hanno mai neanche ringraziato. Keel chiude la lettera con queste parole:
“Allende diceva di star morendo di cancro nel 1970. Ma è probabilmente ancora là da qualche parte, a scrivere lunghe, deliranti lettere a chiunque menzioni il suo nome a stampa. Gray Barker sta ancora vendendo riproduzioni dell’ed. Varo a cifre assurde. E chiunque menziona i veri fatti riguardo al non-esistente Esperimento di Filadelfia, viene zittito quale complice della cospirazione militare. Come accade nel 90% dei casi in cui c’entrino gli UFO, non c’era niente di concreto. Ma Carl Allen non era un truffatore consapevole. Semmai, è una delle più grandi vittime dell’ufologia.”
E con parole che risuonano quelle di Keel, Kevin Randle chiude l’articolo “The Allende Letters” (pubblicato sul suo blog, A Different Perspective, nel luglio 2009), riferendosi al Phil. Exp.:
“Alla fine, sappiamo che l’uomo che creò le ‘lettere di Allende’ ha detto che si trattava di un artefatto, coloro che erano all’ONR hanno detto che la Marina non aveva riposto alcun interesse ufficiale nell’ed. Varo o nelle lettere, e ricercatori indipendenti hanno dimostrato che l’intero caso è un falso. Jessup non si interessò delle lettere, e l’uomo che le scrisse, secondo quanto membri della sua famiglia hanno dichiarato a Goerman, aveva l’abitudine di annotare qualsiasi cosa gli capitasse per le mani, perfino le cartoline di auguri. La nave, l’Eldridge, secondo i diari di bordo, non era a Philadelphia durante il periodo in questione e la ciurma che vi lavorò se la ride dell’intera storia. In altre parole, non c’è mai stato uno straccio di evidenza che provi che l’esperimento abbia avuto effettivamente luogo o che Allende abbia mai avuto alcuna sorta di conoscenza affidabile al riguardo, eppure, siamo ancora oggi qui a discuterne. Così vanno le cose nel mondo del paranormale.”
Fine seconda parte
[1] Termine con cui si fenomenologia menzionata già da Charles Fort e poi da Jessup, e di cui si hanno varie notizie anche nei decenni successivi, che la scienza ufficiale attribuisce alle secrezioni di un ragno.
[2] James W. Moseley ci ha lasciato da pochissimo, il 16 novembre 2012. Questo scritto è dedicato anche alla sua memoria.
[3] Che continua la pessima consuetudine inaugurata da Berlitz, e onorata da quasi tutti gli scrittori di ufologia, di modificare o falsificare i dati ad hoc per portare il lettore non informato a conclusioni arbitrarie, ad esempio vi si afferma che le lettere di Allen non fanno menzione del luogo presunto dell’esperimento (un molo di Filadelfia) ma parlano piuttosto di un fatto avvenuto in mare aperto; ciò per ovviare a varie incongruenze che altrimenti si aprono. Ma Allen menziona specificamente Filadelfia, più volte, nelle lettere a Jessup.
[4] Sul suo blog su www.davidhalperin.net , dove ci sono molti articoli di approfondimento sulle personalità qui trattate, ricchi di dettagli.
[5] “dead as a doornail”.
di Vincenzo Moggia
Illustrazione in copertina di Andrea Stendardi
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