«There are no such things
as flying saucers.»
Gray Barker
Non esistono cose come i dischi volanti. Con queste parole inizia They Knew Too Much About Flying Saucers, il capolavoro di Gray Roscoe Barker e uno dei capolavori indiscussi della “letteratura ufologica”. Quando uscì, nel 1956, Barker era appena trentenne: un giovane che nella vita di tutti i giorni gestiva una piccola agenzia impegnata nel commercio e nella produzione teatrale e cinematografica locale, ma in privato era qualcuno che “sapeva troppo sui dischi volanti”…!
Il suo libro – primo di una nutrita serie – fu di ispirazione per molti che proprio a partire da quella lettura decisero di dedicarsi all’ufologia, come David Halperin, e inaugurò un filone che ancora oggi vive la sua piena fortuna: quello del cospirazionismo legato all’idea più moderna di UFO, già abbastanza lontana dal “forteanismo” omnicomprensivo e dall’immagine classica del “disco volante” abitato da esseri molto simili agli umani, che si immaginano provenienti perlopiù dal nostro sistema solare (Marte o Venere). Pure, questa idea di UFO e ufologia era proprio in quegli anni nella sua piena fioritura, basti pensare che The case for the UFO di Jessup è soltanto dell’anno precedente. Questo dà la misura di quanto Barker abbia saputo “vedere più avanti” rispetto al suo tempo, all’interno del suo insolito campo di espressione, e segnarne indelebilmente la cultura.
They Knew Too Much… segna infatti l’atto di nascita degli “Uomini in Nero”, i tre uomini vestiti, appunto, di nero che, non si sa perché né per conto di chi, vanno a minacciare e “chiudere la bocca” ai malcapitati cui succeda, loro malgrado, di arrivare a “saperne troppo” sugli UFO. Come poté una simile idea balenare nella mente del giovane Barker?
Gray Barker vede la luce il 2 maggio 1925 a Riffle, una piccola città del West Virginia; poco più lontano si trova Clarksburg, dove vive praticamente per tutta la vita, salvo qualche viaggio. La sua passione per i misteri cosmici nasce molto presto, quando, in college, il suo compagno di stanza gli mostra l’ultimo numero della celebre rivista di racconti di fantascienza Amazing Stories, un numero molto speciale, perché rappresenta l’inizio del cosiddetto “Shaver Mystery”.
Questa è un’altra storia, che però merita una breve incursione in questa sede, perché di fatto si può considerare una precursione dell’intero fenomeno UFO (e secondo alcuni, come il John Keel[1], ne costituirebbe il diretto ispiratore). D’altra parte, lo stesso Barker scrive che “Shaver parlava di ‘dischi volanti’ ben prima dell’avvistamento di Kenneth Arnold”. Secondo questo filone di pensiero, il “vero” inizio dei dischi volanti starebbe nelle storie di Richard Shaver e nella popolarizzazione di esse fatta ad opera di Raymond Palmer, al tempo editore di Amazing Stories.
Alla fine del 1943 una strana lettera arriva a Ray Palmer. L’assistente Howard Browne, dopo averla letta, l’aveva buttata nel cestino della carta straccia, considerandola l’opera di un pazzo. Forse, se Ray Palmer non avesse avuto sufficiente intuito commerciale da fiutare l’affare (o sufficiente curiosità da volerne sapere di più), oggi non parleremmo di UFO o forse ne parleremmo in modo completamente diverso dai modi in cui se n’è sviluppata l’immagine comune.
La lettera era stata scritta da tal Richard Shaver, di Pittsburgh, Pennsylvania, e conteneva un “alfabeto precedente alla storia umana” chiamato “Mantong”, che costituirebbe la “chiave fonetica di tutti i linguaggi esistenti”. Palmer rimane impressionato dal Mantong, e – come già era accaduto a Jessup con il misterioso señor Allende – vuole saperne di più. Palmer risponde con una storia. Gliela invia gratis, senza richiesta di denaro: ma soprattutto dice che è una storia vera, non un’invenzione. Palmer la risistema un po’ e la pubblica su Amazing Stories come racconto di fantascienza. Inizia lo Shaver Mystery.
La storia è I Remember Lemuria, e diventa un “best-seller”, come diremmo oggi. Ovviamente, molte altre ne seguono. Shaver sente delle voci, che gli parlano di cose di cui lui non aveva mai sentito parlare prima. Gli dicono che sotto la superficie terrestre c’è un vasto sistema di caverne artificiali, in cui vive una razza antica quasi quanto la Terra. I rappresentanti di tale razza sarebbero i discendenti di coloro che furono abbandonati su una Terra morente quando l’ultima nave spaziale che poté essere costruita lasciò il pianeta. Li chiama “Dero”. I Dero sono, ovviamente, folli e degenerati: al punto da cibarsi di carne umana. Ma ci sono anche i cavernicoli “buoni”: i “Tero”, che sono costantemente in lotta con i Dero.
Secondo Shaver, che afferma di “ricevere” queste nozioni in modo telepatico da presunti “registri del pensiero” metallici, le leggende di Lemuria e Atlantide avrebbero un fondo di verità. Un tempo molto lontano, i giganti vennero sulla Terra e la “inseminarono” con il genoma umano. I primi esseri umani non invecchiavano. L’invecchiamento cominciò quando il Sole cominciò ad emettere certe radiazioni negative. Inizialmente questi popoli costruirono il sistema di caverne, dove proteggersi dalle emissioni solari, e delle macchine in grado di emettere radiazioni che annullavano l’effetto del Sole. Col tempo però le radiazioni solari negative divennero sempre più forti. Così, l’antica razza terrestre fu costretta a lasciare il pianeta d’origine a bordo di navi spaziali; ma non poterono essere tutti tratti in salvo. Coloro che furono abbandonati sulla Terra, subendo l’effetto delle radiazioni, si trasformarono in una razza di sadici cruenti, che si divertono a rapire, terrorizzare e torturare gli umani di superficie. Non solo: intrattengono anche traffici interplanetari con “veri” alieni provenienti da altre galassie, e che sono responsabili dei “fenomeni aerei anomali” (quelli forteani, di cui si parlava al tempo e che si ritrovano ancora nei primi libri di ufologia, tra cui quelli di Jessup).
Il lettore informato, a questo punto, avrà sicuramente notato le “affinità” tra la storia di Shaver e molti elementi che sono poi filtrati sia in Jessup, sia nelle annotazioni di Carl Allen: ad esempio, come molti commentatori hanno osservato, la storia degli “L-M” e “S-M” è molto vicina a quella dei Dero e Tero. Probabilmente, chiunque a quel tempo fosse affascinato dai misteri, dalla fantascienza, dallo spazio e dagli scritti di Charles Fort era “inciampato” nello Shaver Mystery o ne aveva sentito parlare almeno una volta. D’altra parte, con le storie di Shaver Amazing Stories conobbe un successo di vendite straordinario e prima impensabile per una piccola rivista di nicchia (toccando le 185.000 copie vendute).
E non tardano ad arrivare le conferme: Ray Palmer, nei mesi e anni successivi, è inondato di lettere che raccontano episodi di incontri con i Dero e i Tero. C’è chi scrive perché ha visitato il sistema di caverne sotterranee; ad esempio qualcuno scrive di averne trovato un accesso in Birmania, durante la Seconda Guerra Mondiale. Ovviamente, secondo Shaver, c’è anche un’antica cospirazione mondiale per tenere segreta la verità sui Dero e celare gli accessi alle caverne sotterranee.
Ci sarebbe molto altro da raccontare su Richard Shaver, ma, come ci piace dire, questa è un’altra storia e dovrà essere raccontata un’altra volta. Si vede già però che in nuce lo Shaver Mystery contiene tutta l’ufologia e le teorie alternative che tanto successo avranno in seguito, e l’idea che di fatto abbiano influenzato lo stesso Kenneth Arnold così come Jessup e Allen non è affatto peregrina.
Nel caso di Barker, la questione è diversa perché è lui stesso a raccontare di come, da giovane studente, rimanga affascinato dallo Shaver Mystery, seguendolo per i cinque anni successivi. E di come lo impressioni la decisione di Palmer di smettere di pubblicare le storie di Shaver. La versione ufficiale parla di molte rimostranze arrivate alla redazione di Amazing Stories contro i “lunatici” dello Shaver Mystery e a favore di un ritorno alla fantascienza di livello più alto. Dopo cinque anni di successi, è probabile che ci fosse una banalissima flessione nelle vendite dietro questa prevedibile svolta. Però agli occhi di tanti giovani e appassionati dell’epoca poteva esserci qualcosa di più misterioso dietro. Forse la cospirazione c’era davvero?
Ray Palmer continuò a seguire i misteri del cielo, prima fondando la celeberrima rivista “Fate”, poi varie altre, tra cui “Other Worlds” (di nuovo centrata sulla fantascienza), “Flying Saucer Magazine” e “Mystic” (sull’ufologia). Fu proprio sulle pagine di “Other Worlds” che Barker lesse l’annuncio di tal Albert K. Bender, di Bridgeport, Connecticut, che chiedeva aiuto per una piccola associazione di investigazione ufologica che stava facendo nascere, la International Flying Saucer Bureau. Barker offerse la sua disponibilità che, con sua grande sorpresa, venne accettata il 20 novembre 1952 in termini del tutto inattesi: Barker fu nominato rappresentante dell’IFSB per la West Virginia.
Mostri e cospirazioni. La notorietà di Gray Barker nel campo degli UFO comincia ad emergere tra il 1952 e il ‘53, quando gli capita di indagare sul celebre caso di Flatwoods, West Virginia, per conto dell’IFSB. Si trattava di una delle tante pionieristiche associazioni amatoriali dedicate alla ricerca ufologica, che in quegli anni si moltiplicavano in giro per il mondo e che costituivano la speranza di persone come Morris Jessup.
Il “Flatwoods Monster” è uno dei casi più celebri del primo periodo dell’ufologia. Riguarda tre ragazzini che sarebbero stati testimoni di quello che oggi chiameremmo un “incontro ravvicinato del terzo tipo”. La storia non è dissimile di per sé da molte altre di questa categoria: un oggetto viene prima visto in cielo, poi sembra atterrare o cadere nella direzione di una certa zona non molto frequentata, alcuni testimoni si avvicinano e, presso i presunti resti della caduta o al luogo dell’atterraggio, vedono “qualcosa” di strano. A Flatwoods, Braxton County, la sera di quel 12 settembre 1952, i primi testimoni furono tre ragazzini, i fratelli Edward e Fred May e l’amico Tommy Hyer; poi si aggiunsero la madre dei tre, il loro cane, due loro amici, e un poliziotto diciassettenne della zona. I testimoni parlarono di una sfera luminosa sulla loro destra, di un fastidioso odore simile al metallo bruciato, e soprattutto del mostro di Flatwoods (visto quando, probabilmente attratti dal rumore, uno di loro girò verso di esso una torcia). Il “mostro” viene descritto in modi diversi, ma si possono delineare alcuni tratti comuni: sarebbe stato alto circa tre metri, il volto a forma di cuore, il corpo scuro (verde o nero). Secondo alcuni non avrebbe avuto braccia, altri descrissero braccia corte e dotate di artigli.
Non è questo il luogo per addentrarci in una descrizione dettagliata del caso di Flatwoods. É, d’altra parte, quello che Barker fa nei primi due capitoli del suo libro d’esordio. In seguito, l’ipotesi che maggiormente risulterà convincente in merito sarà quella che identifica il mostro di Flatwoods in un barbagianni appollaiato su un albero e agitato dall’incontro con il gruppetto di curiosi (o per qualche altro motivo); quella stessa sera era stata vista e seguita, in quelle zone, la caduta di una meteora, il che potrebbe coincidere con la “sfera luminosa” vista in concomitanza con l’essere di Flatwoods. Nelle condizioni psicologiche in cui dovevano trovarsi i May e i loro amici, con l’aspettativa di trovarsi davanti a qualcosa di anomalo, la foschia, l’oggetto misterioso in cielo e la scarsa visibilità, non è inverosimile che un’apparizione di tal genere “ornitologico” possa essere stata scambiata per qualcosa di diverso e alieno.
Barker prosegue descrivendo altri casi su cui investigò, come il celebre avvistamento di Brush Creek. Ma diventa ben presto chiaro che non sono i casi di avvistamenti e gli aneddoti, come nei libri di Morris Jessup, il centro della narrazione di Barker. Nel settembre 1953 ad Albert Bender accade qualcosa di strano che cambia per sempre il corso dell’IFSB. Riceve la visita di tre uomini, vestiti di nero, che gli “mostrano delle credenziali”, gli danno una grande quantità di informazioni “fantastiche”, e poi gli ingiungono, “sul suo onore come cittadino americano”, di non farne parola con nessuno.
Poco prima, Bender aveva ricevuto un presunto frammento metallico di un UFO, raccolto sul posto a New Haven dal testimone di una presunta caduta, appunto di un velivolo alieno; e ovviamente l’aveva mandato ad analizzare. L’esito di queste analisi non si conoscerà mai, perché poco dopo i misteriosi “M.i.B.[2]” visiteranno Bender, e lo ridurranno al silenzio. Dopo quel misterioso incontro, nel racconto di Barker, lui e altri membri dell’IFSB cercheranno ovviamente di saperne di più, dato che, a quanto dice Bender, il fatto scatenante sarebbe il suo essere arrivato alla “verità sugli UFO”, una verità “fantastica”, cui tutti all’IFSB potrebbero arrivare con i dati in loro possesso, ma che evidentemente “qualcuno” non vuole che si diffonda. Bender però non cede alle insistenze degli ex-colleghi, non lascia trapelare nulla di decifrabile, e nell’ottobre 1953 chiude l’IFSB affidando la decisione ad un laconico annuncio sulle pagine di Space Review, l’organo ufficiale dell’associazione.
Cosa fu realmente a portare Bender a una simile inattesa decisione? Non lo sapremo mai con certezza, perché l’unica fonte che abbiamo sulla strana storia è la rielaborazione fattane da Gray Barker, ottenendo in seguito il benestare dello stesso Bender – il quale infatti figura co-autore di un successivo libretto sulla faccenda, Flying Saucers and the Three Men, del 1962, in cui arrivano a ipotizzare che i tre cospiratori misteriosi siano in realtà tre extraterrestri.
Le pagine di They Knew Too Much… proseguono esaminando e raccontando altri presunti casi di visite da parte dei tre a ricercatori indipendenti sul tema UFO, e vagliando le più disparate ipotesi sulla “verità” scoperta da Bender e sull’identità e lo scopo dei tre U.i.N. (Barker arriva a parlare di altre dimensioni, di cataclismi ambientali sui quali gli UFO starebbero cercando di farci aprire gli occhi, e tocca insomma un po’ tutto il repertorio delle teorie alternative ancora oggi in auge). L’autore sottolinea spesso che per varie ragioni lui e i suoi colleghi all’IFSB non pensano che gli U.i.N. siano inviati dal governo, nonostante nel racconto di Bender essi mostrarono delle “credenziali”, non si sa bene di cosa.
È probabile, come hanno notato alcuni ufologi nei decenni successivi, che una base di verità nel racconto di Barker ci sia. A quel tempo, Barker probabilmente credeva che qualcosa di inquietante fosse realmente accaduto e avesse spinto Bender a chiudere l’IFSB; o quantomeno doveva averlo creduto almeno all’inizio, e ciò doveva averlo spinto a iniziare a scrivere il suo libro. D’altra parte, non è escluso che un contatto con alcuni rappresentanti dell’IFSB da parte dell’esercito sia realmente avvenuto. Ad esempio lo storico dell’intelligence americana Gerald K. Haynes ha documentato in un suo articolo che negli anni ’50 c’erano davvero dei servizi di cover-up da parte dell’U.S. Air Force, per coprire avvistamenti di aerei spia supersegreti come l’U2 e l’SR 71 Blackbird[3]. Non è da escludersi che alcuni tra i casi investigati dall’IFSB riguardassero incidentalmente questi progetti segreti, e che perciò un qualche tipo di incontro tra membri dell’IFSB o altre associazioni amatoriali, e agenti dei servizi segreti, in quegli anni sia avvenuto sul serio (lo stesso Barker racconta di una di queste strane visite, però con un solo agente, di cui fu egli stesso protagonista) e abbia offerto al Nostro il destro per mettere su un racconto cospirazionista coi fiocchi, sulla scia del successo dello Shaver Mystery.
È però chiaro che pian piano, probabilmente già durante le indagini che portarono alla stesura del libro, Barker cambia idea. Sulla vicenda in questione e sugli UFO in generale. Ed è chiaro anche che il carattere eccezionale di They Knew Too Much non è la base fattuale su cui si regge, ma ciò che Barker seppe costruirci sopra, e il contenuto emotivo che seppe infondervi, per ragioni – quelle sì – decisamente autentiche. Prima di capire meglio tutto questo, però, è il caso di menzionare brevemente un’altra straordinaria invenzione di Barker: gli Uomini-Falena.
Vere storie. È quantomeno curioso che il primo caso investigato in grande stile da Barker, e con cui si apre il suo debutto bibliografico, abbia le caratteristiche più sopra descritte: è stato infatti notato che il mostro di Flatwoods è molto simile al cosiddetto “Mothman”, Uomo-Falena, che molti affermano di aver avvistato – a partire dai celebri primi avvistamenti del 1966 – a Point Pleasant (sempre West Virginia), e che sarà il centro dell’altro libro di maggiore successo del Nostro. L’area è quella, la fauna anche (di fatto la spiegazione che i più danno agli avvistamenti di “Mothman” è proprio la stessa che viene data per il mostro di Flatwoods: il barbagianni, Tyto alba in termini scientifici). E non è un caso che fu proprio Barker il primo a scrivere, e rendere così celebre, il caso di Point Pleasant, collegandolo con magistrale intuito giornalistico al celebre collasso del Silver Bridge – un ponte sul fiume Ohio, che connetteva Point Pleasant a Gallipolis, Ohio – del 15 dicembre 1967. Siamo giunti nel 1970, e il libro è, appunto, The Silver Bridge. Sul tema uscirà cinque anni dopo un altro celeberrimo libro, The Mothman Prophecies di John Keel (che darà nome anche a un film del 2002 con Richard Gere).
Inizialmente il progetto era nato per iniziativa di Keel, e doveva essere una collaborazione tra i due. Keel inviò a Barker una prima bozza, che Barker completò. Il risultato fu però molto diverso da quel che Keel si aspettava: in esso Barker faceva apparire Keel come un “personaggio misterioso”, le storie venivano esagerate nel tono e aggiunte di notizie puramente inventate, sebbene verosimili (entro quel contesto). Questo scritto è il nucleo del libro che uscirà con il titolo The Silver Bridge.
Barker e Keel si erano conosciuti tempo prima, e avevano già collaborato all’organizzazione di un convegno di ricercatori UFO nel giugno del 1967, insieme con James Moseley, altro celebre ufologo e amico di Barker. Moseley è, con John Sherwood, uno dei principali disvelatori della personalità che fu Barker “dietro le quinte” della sua attività ufologica. Moseley racconta che Barker si divertiva, in quegli anni, a fomentare la credulità e la paranoia dei ricercatori UFO e in alcuni casi ottenne allo scopo la connivenza di altri come lo stesso Moseley. Ad esempio, ai danni dello stesso John Keel, cui Barker fece arrivare strane telefonate; al punto da fargli crescere la paura degli Uomini in Nero, che alimentava poi con ipotesi stravaganti: in una lettera dell’ottobre del ’67 Barker ventila l’idea che gli U.i.N. fossero androidi, e sostiene che lui e Moseley abbiano ideato una procedura per farli andare in tilt…
Ma c’è di peggio. Barker e Moseley furono gli autori di alcuni celeberrimi falsi storici dell’ufologia, come il film di Lost Creek e le lettere intestate “Dipartimento di Stato” – comitato per gli Affari Culturali e firmate “R. E. Straith” (un personaggio inesistente), che il primo contattista della storia, George Adamski, ricevette nel 1957 e che apparentemente indicavano un interesse e un sostegno del governo americano per i suoi contatti alieni. Adamski ne fece un caso nazionale; e ovviamente l’FBI affermò che si trattava di falsi (cosa che in effetti erano), ma ciò naturalmente fomentò l’ipotesi cospirazionista in Adamski e nei suoi sostenitori! L’FBI arrivò a rintracciare il vero autore delle lettere dai caratteri della sua macchina da scrivere: l’episodio scosse talmente Barker al punto che, racconta Moseley, ruppe quella macchina da scrivere e ne nascose i pezzi all’interno di un muro che stavano costruendo intorno a Clarksburg.
Barker non architettò i suoi falsi servendosi della partecipazione del solo Moseley, ma anche di altri: ad esempio John Sherwood (che racconta questa storia nei suoi articoli per lo “Skeptical Inquirer”), diede vita – su sapiente “regia” di Barker – al personaggio di Richard H. Pratt in un altro celebre falso storico, stavolta sul tema della connessione UFO-viaggi nel tempo. Come abbiamo già avuto modo di notare, Barker era inciampato in questa tematica quando ebbe a occuparsi del Phil.Exp., delle annotazioni di Allen e delle presunte connessioni tra il falso esperimento e le teorie di Einstein. La storia di Richard Pratt costituisce la personale rielaborazione creativa che Barker fece di questo filone, mescolandolo con i “suoi” Uomini in Nero.
Nel giugno 1968 Barker scrisse a Sherwood una lettera leggendo la quale comincia a chiarirsi il reale pensiero di Barker sul tema UFO. Ecco le sue parole:
“Detto tra noi, l’interesse e la fissazione sugli UFO rappresenta, dal mio punto di vista, un chiaro sintomo di nevrosi (…) Non riesco a sopportare a lungo i fan dei dischi volanti, soprattutto perché molti di loro sono aggressori orali (ad esempio, parlano tutto il tempo di dischi volanti e pretendono che li ascolti). Genuinamente ammiro alcuni ‘saucerers[4]’ (come te) che, nonostante il loro interesse, paiono abbastanza sani e riescono a mantenere il loro sense of humour in merito”.
Lui e Sherwood non si incontrarono mai di persona. Barker fu il suo “mecenate”, pubblicando una sua indagine su un caso UFO nel libro Flying Saucers are Watching You, del 1967: grazie a questa pubblicazione, la carriera giornalistica di Sherwood decollò. In seguito i due continuarono la collaborazione editoriale. Fu così che, nel 1968, Sherwood scrisse e inviò a Barker un racconto di fantascienza, ispirato ai libri del suo mentore. La trama riguardava un’organizzazione scientifica che scopre che gli UFO sono macchine del tempo, e poi si imbatte in una più sinistra organizzazione di viaggiatori del tempo con intenzioni ostili. Protagonista ne era il fittizio scienziato Richard H. Pratt, che dopo le sue straordinarie scoperte, riceve una visita da parte di tre strani individui, viaggiatori del tempo intrappolati nella nostra epoca…
Ma Barker a questo punto ha un’idea geniale: pubblicare la storia come se fosse reale (sulla scia di Richard Shaver). Sherwood, per “immaturità giovanile” e “narcisistica brama di pubblicazione” come in seguito ebbe a scrivere, gli tiene gioco e scrive al Flying Saucer Magazine di Ray Palmer, all’inizio del 1969, una lettera anonima in cui si denuncia l’attività oscurantistica di un’organizzazione, che si identifica con l’acronimo BICR, composta da tre misteriosi individui: William A. Gautier, Thomas Harper, R. James Kipling (sic!). Proprio a quell’epoca Sherwood guidava un piccolo gruppo dilettantistico di ricerca sugli UFO, ma per far fronte agli impegni universitari, si trova, in quell’anno, nella necessità di scioglierlo. Nel pubblico degli UFO molti abboccano e pensano che siano stati gli “Uomini in Nero” della BICR a far ritirare Sherwood dalla scena. A quel punto Sherwood pensa di rivelare che si è trattato soltanto di uno scherzo. Ma Barker fiuta l’affare e convince Sherwood a continuare lo “scherzo”, scrivendo un articolo pseudoscientifico su Pratt e la fisica dei viaggi nel tempo. Detto fatto, “Flying Saucers: Time Machines” di Richard H. Pratt esce sulle Saucer News di Gray Barker all’inizio dell’estate, seguito nell’estate del 1970 da “The Strange BICR Affair”. Per sostanziare la storia, in seguito, Barker arriva a scrivere a vari ufologi tra cui Ray Palmer chiedendo di fare ulteriori ricerche sull’identità di Richard H. Pratt, che dopo l’articolo del 1970 scompare “misteriosamente” dalla scena.
Sfumature di Barker. Nel 1983, poco prima di morire, Gray Barker pubblica il suo canto del cigno, Men in Black: the Secret Terror Among Us, tornando alle radici, alla sua prima grande storia di successo e che gli conferì fama internazionale e imperitura nel mondo degli appassionati degli UFO. Secondo David Halperin, in questo libro Barker fa un’auto-parodia del suo stesso stile, allora emotivamente più sincero, usato in They Knew Too Much. In questo libro Barker dedica un capitolo alla vicenda di Richard H. Pratt trattandola come possibilmente autentica. Sherwood ebbe a commentare al riguardo dell’uscita del libro: “Stetti di nuovo zitto, in fondo gli dovevo la carriera. Cercai d’ignorare che stava giocando con la verità”.
Ecco come emerge l’uomo Gray Barker nel ricordo di tutti coloro che lo conobbero bene e ne furono amici, collaboratori, complici. Un uomo che inizialmente, in età giovanile, negli esaltanti anni dello Shaver Mystery e delle ricerche di Fort e Jessup e dei primi casi di avvistamenti di Arnold e di contattismo di Adamski, aveva creduto sinceramente nella possibilità che, con gli UFO, l’umanità si stesse approssimando a qualcosa di autentico ed importante. Ma che, lungo gli anni trascorsi all’interno del mondo dell’ufologia, anzi assolutamente “in prima fila”, era diventato progressivamente sempre più disilluso, e ferocemente sarcastico (quando non esplicitamente sprezzante) verso di esso e i suoi protagonisti; al punto da coniare spregiudicatamente molti celeberrimi falsi storici insieme a Moseley, Sherwood, Bender (e presumibilmente, molti altri da solo), nella sua individuale produzione di scrittore, editore e giornalista ufologico.
James Moseley ci ha fatto conoscere un documento eccezionale, una poesia di Gray Barker che esprime chiaramente cosa pensasse davvero degli UFO. Eccone il testo originale:
UFO is a bucket of shit
Its followers: perverts, monomaniacs, dipsomaniacs
Artists of the fast buck
True believers, objective believers, new age believers
Keyhoe[5] believers
Shushed by the three men
Or masturbated by space men
UFO is a bucket of shit
The A.F. investigated UFOs
And issued a report
Couched in polite language
Which translated, means:
“UFO is a bucket of shit”
Meade Layne[6] is a bucket of shit
Lex Mebane is a bucket of shit
James W. Moseley is a bucket of shit
Richard Ogden is a bucket of shit
Ray Palmer is a bucket of shit
And I sit here writing
While the shit drips down my face
In great rivulets
Secondo Moseley, Barker aveva un sincero “sense of wonder” per il fenomeno UFO, e anche se smise di credere molto presto che nascondesse una realtà extraterrestre o complottistica, non abbandonò mai quel senso di meraviglia verso le regioni inesplorate della mente umana che esso fa emergere. Pensava sé stesso come un “intrattenitore” per il pubblico “new age”. Un intrattenitore che non crede (più) in ciò che racconta, e anzi spesso se lo inventa, ma lo fa per soddisfare il suo pubblico; uno showman che sa bene che ci sono molti disposti a pagare per essere intrattenuti in questo modo, e che è anche ben deciso a trarne tutto il profitto possibile. Il suo “disinvolto approccio alla verità” è oggi testimoniato anche in due singolari documentari biografici dedicati alla sua figura: “Whispers from Space”, di Ralph Coon, e “Shades of Gray”, di Bob Wilkinson[7].
E però non è “tutto qui”. Non si può liquidare questa storia come la storia di un falsario. Nel mondo dell’ufologia (e non solo) ci sono molti falsi conclamati, con i quali Barker non ha nulla a che fare, e i cui autori però vengono presto dimenticati. La storia di Gray Barker è diversa. Anzitutto, egli poté prendere in giro il “suo pubblico” e il mondo dei protagonisti dell’ufologia in più di un’occasione, ma sempre con un atteggiamento condito di esplicita ironia (che emerge chiarissima già in They Knew Too Much), e manifestando il suo reale pensiero almeno ai suoi amici e ai suoi conoscenti, a differenza di altri (come ad esempio Berlitz e Moore, o Steiger) dei quali pure si sa che spesso le “spararono grosse” pur di confezionare libri sensazionali, ma che non l’hanno mai esplicitamente ammesso, neanche ai colleghi, neanche in privato. Possiamo essere grati a Barker per aver fatto emergere invece, almeno nel privato, questo aspetto di “cattiva fede” (più o meno consapevole, in misura più o meno ingente) che permea buona parte delle pubblicazioni sugli UFO.
Non solo. La storia di Barker è diversa anche perché in essa c’è una genuina tensione sottile che è stata in grado di creare o contribuire a creare la leggenda, anzi, molte leggende (dagli Uomini in Nero all’Uomo-Falena, dal caso di Richard H. Pratt all’Esperimento di Filadelfia), di fatto dotando l’umanità tecnologica di un immaginario nuovo, “aggiornato” ai nostri tempi. Torniamo per un momento a They Knew Too Much. Quasi ogni singolo capitolo comincia con un’intuizione artistica notevole: mettendo il lettore al centro della vicenda che si sta raccontando e che si suppone “realmente accaduta”.
Un accorgimento stilistico che corrisponde all’espediente cinematografico del “mockumentary”, che Barker precorre e utilizza con consapevolezza assolutamente contemporanea, prefigurando quel meccanismo psicologico che sta alla base di tutte le recentissime mitologie costruite intorno a segreti, cospirazioni, e straordinarie rivelazioni da parte di “anonimi ufficiali in pensione”. Dall’Area 51 agli X-Files, dagli “impianti” operati durante le “abductions” alle teorie pseudo-spiritualiste di un Corrado Malanga, dagli pseudoricercatori tv della serie “UFO Hunters” alla fortuna che gli Uomini in Nero hanno avuto a partire dagli anni ’80 tra fumetti, libri e cinema: la verità è là fuori e chi la sa ce la nasconde, e non ci si può fidare di nessuno, nessuno è veramente al sicuro perché “loro” ci spiano, ci controllano, potrebbero essere appena fuori dalla nostra porta di casa, pronti a farci tacere, nel malaugurato caso in cui dovessimo arrivare a “sapere troppo”…
Un contesto di cui la “post-ufologia” contemporanea (di cui lo stesso “doppiogiochismo” di Barker è iniziatore ante litteram) prende sempre più coscienza, come testimonia ad esempio il libro autobiografico e “meta-ufologico” di James Moseley, significativamente intitolato “Shockingly Close to the Truth!”. E che ha un preciso corrispondente storico nell’epoca in cui l’opera di Barker nasce e si sviluppa: nei primi anni ’50 lo scenario psicologico dell’americano medio (e non solo) è pervaso soprattutto dalla tensione derivante da due fenomeni storici, la guerra fredda e l’ossessione maccartista. Com’è noto, in quegli anni la tensione fra le due massime potenze militari, l’URSS comunista e l’America capitalista, è all’apice; il mondo è costantemente minacciato da una nuova, definitiva apocalisse nucleare (minaccia che si è allentata, ma di certo è ancora attuale), e negli USA è in atto una vera e propria inquisizione anti-comunista, un terrorismo giornalistico e televisivo in cui un minimo sospetto (anche infondato) di comunismo può stroncare una carriera e rovinare la vita di un uomo. (Si ricordi, peraltro, la fobia dei comunisti che Carl Allen, ancora nel 1985!, arrivò a confessare al suo intervistatore.)
Ma Gray Barker era anche omosessuale. Un “diverso” – come un “alieno” che si trovi suo malgrado in un tempo e in un luogo straniero e ostile: Clarksburg, un paesino della West Virginia dei primi anni ’50, conformista, bigotto e in preda ad una piena paranoia verso un nemico (il comunista sovietico) che con la sua storia e cultura totalmente estranee a quelle americane incarna in fondo anche la categoria del “diverso”. The Silver Bridge, il libro con cui Barker eterna la leggenda dell’Uomo-Falena, mostra una singolare, ironica ma significativa dedica: “To the bird creature”, cioè allo stesso Uomo-Falena, un essere “diverso” a suo modo, solitario e incompreso come lui, cui Barker si sente evidentemente in qualche modo vicino, solidale, e di cui canta il bizzarro epos.
Anche questo è un elemento costitutivo della tensione che permea le opere di Barker, perfino i suoi “fakes”. Questo mix di elementi, uniti ad un talento peculiare e ad un momento propizio, permettono la creazione di un’opera per molti versi eccezionale come They Knew Too Much e l’inizio di una carriera decisamente fuori dall’ordinario. Come scrive Halperin, “Gray Barker aveva un segreto, terribile per l’epoca e il luogo in cui viveva: la metà del secolo scorso in West Virginia. (…) Quando scrisse di Bender, scrisse di sé stesso. Gli uomini in nero gravitavano sulla sua vita ogni giorno. Ciò conferì a They Knew… l’autenticità emotiva che possiede”.
Gray Roscoe Barker muore nel 1984, di una malattia che nessuno dei suoi amici e conoscenti poteva ben comprendere, e che oggi chiamiamo AIDS. Moltissimi ufologi, complottisti, ricercatori o semplici appassionati, continuano a vivere in un certo senso dentro le sue fantasie e ad esserne ispirati, eppure molti di essi non conoscono neppure il suo nome. In occasione della riedizione di The Silver Bridge uscita dopo la sua morte James Moseley pubblicò, in chiusura ad un’affettuosa commemorazione dell’amico Gray Barker, una poesia scritta nel 1985 e a lui dedicata, con cui ci fa piacere chiudere questa memoria.
Back to you, Gray Barker
I tried to phone Gray Barker
tonight
Like we used to do.
I dialed the 304 area code
(So close to 305, in Florida);
And the robot said,
“You can’t dial him where he is now
The lions don’t go out that far.”
And I sassed the robot, saying,
“How far out do the lions go?”
And it replied, mockingly,
“Thank you for using AT&T.”
I tried to write Gray Barker the other day
Like we used to do.
I put on a “D” stamp
(Was there ever a “C”?)
And the letter came back to me,
Together with a warning
Stamped on the envelope:
“For Domestic Use Only.”
A man from the Post Office Department came by
And informed me
That R. E. Straith[8] is dead.
I tried to reach Gray Barker the other night,
Telepathically, as if in a dream;
And I saw this circle of Beings
Clustered around a smoldering cauldron.
Here was Palmer and Arnold and Jessup and Wilkins;
And Layne and Edwards and Scully and Van Tassel[9];
All their differences forgotten;
And George Adamski, with his telescope;
And here too was Gray Barker
With a drink in his hand,
Stirring the cauldron so vigorously
That his hand shook;
So I asked him, “When may I join you?”
And George Adamski answered, for the group:
“Time Will Tell.”
Conclusioni. «Io sono uno scrutatore delle stelle[10] mr. Jessup. (…) SENTO con certezza CHE l’Uomo riuscirà ad arrivare dove Egli adesso può solo sognare di trovarsi – tra le stelle.» Così scriveva Allen, profeticamente, nel 1956 a Morris Jessup, “scrutatore delle stelle” suo pari, così come lo fu Gray Barker, che queste parole pubblicò due volte – nel suo libretto sulla vicenda nel 1963 e poi nella sua edizione dell’ed. Varo nel 1973. Cinque anni dopo che Allen le ebbe scritte, Jurij Gagarin avrebbe fatto, primo essere umano nella storia (…o perlomeno il primo di cui si abbiano prove certe!), l’esperienza di uscire dall’atmosfera terrestre; e ancora otto anni dopo, due esseri umani avrebbero passeggiato sulla Luna.
Siamo tutti, da sempre, un po’ scrutatori delle stelle, e in una parte di noi portiamo la paura e il sogno di esplorare, e magari abitare, gli spazi infiniti del Cosmo; e magari scoprire che non siamo gli unici, che condividiamo queste paure e queste speranze con altre menti pensanti in qualche mondo remoto. É per questo che spendiamo immani risorse per esplorare il sistema solare, e restiamo senza parole nel guardare le foto e i video che strumenti e astronauti ci mandano da lassù; è per questo che interroghiamo lo Spazio profondo con gli strumenti della radioastronomia, captando eventi e fenomeni fisici che avvengono a milioni di anni luce di distanza da noi; è per questo che inviamo messaggi al vuoto intergalattico, e restiamo in ascolto incessante verso ogni centimetro di cielo, in attesa di un messaggio, di un segnale, di una presenza di qualche tipo.
Queste singolari personalità, eccezionali per molti versi, nel giro di pochi anni e di poche pubblicazioni contribuirono in modo decisivo a modificare e plasmare l’immaginario collettivo, riuscendo a interpretare in modo precipuo le paure, le inquietudini e le speranze di quelle generazioni che vissero direttamente un mutamento rapido e sconcertante, dovuto all’avvicendarsi frenetico di nuove scoperte teoriche e tecnologiche, fino a pochi decenni prima inconcepibili. Un’umanità che appena cominciava ad abituarsi al cinema, alle automobili, agli aerei, si trovò a fronteggiare l’incontro con concetti nuovi, mondi nuovi e possibilità nuove, del tutto “aliene”. L’atmosfera si popolò di onde, forze, energie invisibili, dalle potenzialità meravigliose, ma anche pericolose; mentre lo Spazio esterno si fece improvvisamente vicinissimo, seppur inafferrabile, in tutta la sua schiacciante, ignota immensità.
Questo processo non è affatto concluso. Ci siamo pienamente dentro; ed è per questo che abbiamo portato queste emozioni e fascinazioni con noi, nel nuovo secolo e nelle mitologie del nostro presente – che in fondo sono anche le guide, e le prime avvisaglie forse, del nostro futuro.
Bibliografia citata e di riferimento:
– Barker, G., They Knew Too Much About Flying Saucers, University Books, 1956.
– Barker, G. – Bender, A.K., Flying Saucers and the Three Men, Saucerian Press, 1962.
– Barker, G., The Strange Case of Dr. M. K. Jessup, Saucerian Press, 1963.
– Barker, G., The Silver Bridge, Saucerian Press, 1970.
– Barker, G., Men in Black: The Secret Terror Among Us, Saucerian Press, 1983.
– Berlitz, C.F., The Bermuda Triangle, Doubleday, 1974.
– Berlitz, C.F., Without a Trace, Doubleday, 1977.
– Berlitz, C.F. – Moore, W.L., The Philadelphia Experiment: Project Invisibility, Fawcett Publications, Inc., 1979.
– Commander X, The Philadelphia Experiment Chronicles: Exploring the Strange Case of Alfred Bielek and Dr. M. K. Jessup, Global Communications, 1994.
– Crabb, R., M. K. Jessup, the Allende Letters and Gravity, BSRA Publications, 1962.
– Downing, B., The Bible and Flying Saucers, Lippincott, 1968.
– Farrell, J.P., Secrets of the Unified Field. The Philadelphia Experiment, the Nazi Bell, and the Discarded Theory, Adventures Unlimited Press, 2008.
– Gaddis, V., Invisible Horizons: True Mysteries of the Sea, Chilton Books, 1965.
– Genzlinger, A.L., The Jessup Dimension, Saucerian Press, 1981.
– Goerman, R.A., Alias Carlos Allende: The Mystery Man Behind the Philadelphia Experiment, “Fate” 1980.
– Halperin, D., The Philadelphia Experiment, “The Revealer” 2012.
– Jessup, M.K., The Case for the UFO, Citadel Press, 1955.
– Jessup, M.K., UFO and the Bible, Citadel Press, 1956.
– Jessup, M.K., The UFO Annual, Citadel Press, 1956.
– Jessup, M.K., The Expanding Case for the UFO, Citadel Press, 1957.
– Jessup, M.K., Barker, G. (a cura di), The Case for the UFO – Annotated Varo Edition, Saucerian Press, 1973.
– Keel, J.A., The Mothman Prophecies, Saturday Review Press, 1975.
– Keel, J.A., The Man Who Invented Flying Saucers, “Fortean Times” inverno 1983.
– Keyhoe, D., The Flying Saucers Are Real, Fawcett Publications, Inc., 1950.
– Moseley, J.W. – Pflock, K.T., Shockingly Close to the Truth!, Prometheus Books, 2002.
– Randle, K.D., The Allende Letters, articolo sul blog dell’autore, 2009.
– Sanderson, I.T., Uninvited Visitors: A Biologist Look at UFOs, Cowles Education Corp, 1967.
– Scully, F., Behind the Flying Saucers, Henry Holt, 1950.
– Shaver, R., I remember Lemuria, “Amazing Stories” maggio 1945.
– Sherwood, J.C., Flying Saucers are Watching You, Saucerian Press, 1967.
– Sherwood, J.C., Gray Barker: My Friend, the Myth-Maker, “Skeptical Inquirer” maggio-giugno 1998.
– Sherwood, J.C., Gray Barker’s Book of Bunk. Mothman, Saucers, and the MiB, “Skeptical Inquirer” maggio-giugno 2002.
– Simpson, G.E. – Burger, N.R., Thin Air, Dell Publishing Co., 1978.
– Steiger, B. – Whritenour, J., New UFO Breakthrough: The Allende Letters, Award Books, 1968.
[1] Cfr. Keel [1983].
[2] Sebbene l’invenzione dei personaggi sia di Barker, l’abbreviazione “M.i.B.” fu coniata in seguito da John Keel.
[3] Cfr. Sherwood.
[4] “saucerer” è il termine con cui Barker chiamava sé stesso e i ricercatori ufologici che considerava più seri.
[5] Autore nel 1950 di uno dei primissimi saggi ufologici della storia, The Flying Saucers are Real.
[6] Uno spiritualista le cui teorie erano in auge al tempo, e di cui Barker parla in They Knew Too Much.
[7] Quest’ultimo è ancora disponibile in commercio. Inoltre, ancora oggi a Clarksburg è visitabile la Gray Barker Room nella Waldomore (la biblioteca pubblica cittadina), che contiene una collezione di libri ufologici comprensiva delle opere di Barker (alcune delle quali ormai rarissime e introvabili, vendute dai collezionisti a cifre che superano il migliaio di euro), e che raccoglie anche tutto l’archivio di Barker, compresi appunti, ricerche, la copiosa corrispondenza intrattenuta con amici, colleghi ufologi, collaboratori.
[8] Il lettore ricorderà che R. E. Straith è lo pseudonimo con cui erano firmate le lettere fittizie, scritte da Moseley e Barker, al contattista George Adamski a nome del governo americano.
[9] Alcuni altri celebri nomi di ricercatori (salvo Van Tassell che fu un sedicente contattista) dell’ufologia dei primi tempi. Frank Edwards si occupò anche di altri ambiti di ricerca come la parapsicologia. Frank Scully fu autore nel 1950 di uno dei primissimi saggi ufologici della storia, Behind the Flying Saucers.
[10] “star-gazer”.
di Vincenzo Moggia
Illustrazione in copertina di Andrea Stendardi
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