«Nonno, come si scrive Togliatti?».
Il nonno sgrana gli occhi sentendo quel nome in bocca ad una bambina. Prende un bel respiro che gli gonfia il cuore e con esso la falce e il martello tatuati proprio sopra; poi si sporge in avanti per dettare orgogliosamente alla nipotina chinata su un foglio da disegno.
«TO, GL di coniglio, IA, doppia T, I».
La bambina scrive lettere maiuscole che si reggono in piedi a malapena.
«E quello che ha detto la Signorina Buonasera?».
«Lui? Lui è Sartre».
«Sa?».
«Sar – tre».
Sul foglio compaiono S, A, R, 3. Il nonno ride.
«Così?».
«Scrivilo come ti pare, amore di nonno».
Carezza.
«Ha detto la Signorina Buonasera che ha rifiutato un Nobel. Ma cos’è? come lo disegno?».
«Un Nobel, Annalù, è un premio che ti danno quando sei bravo bravo in qualcosa. Ma bravo davvero, eh!».
«Lo posso vincere anch’io, allora?».
«Eh, se ti impegni, poi vediamo… Intanto fammi vedere che bel disegno hai fatto».
Striscia verde vuol dire prato, striscia blu vuol dire cielo. Moti circolari di pennarello grigio indicano un temporale in arrivo nonostante un sole più grande del normale rida dall’angolo in alto a destra del foglio. A sei anni, Annalisa aveva già compreso l’inesistenza delle mezze stagioni.
Il programma trasmesso dalla televisione riepiloga i più importanti fatti dell’anno 1964: la morte di Palmiro Togliatti; il lancio del primo vasetto di Nutella da parte della Ferrero; l’inaugurazione della prima linea della metropolitana a Milano; l’Autostrada del Sole; il rifiuto del Nobel alla letteratura da parte di Jean-Paul Sartre; Sergio Leone che gira Per un pugno di dollari; l’uscita dell’attesissimo film dei Beatles. Mentre scorrono le immagini dei quattro ragazzi di Liverpool, la madre di Annalisa si alza dal divano condiviso col marito e si volta trasognata ma decisa verso il padre della bambina.
«Io con Paul McCartney ti tradirei».
Schiaffone. La madre di Annalisa si rimette seduta al suo posto.
Tra le cose che la Signorina Buonasera non ricorda c’è il fatto che Nelson Mandela sia stato condannato a un ergastolo che durerà ben ventisei anni, ma meglio ricordare – nella conclusione dell’anno 1964 – che a trionfare al Festival di Sanremo stavolta sia stata Gigliola Cinquetti con Non ho l’età.
Il disegno di Annalisa è una spugna di tutto quello che vede e sente uscire dal Brionvega del salotto adiacente la sala da pranzo, compresi i due omini stilizzati aggrappati a dei binari che portano al sole, che riportano rispettivamente a fianco ognuno il proprio nome: Togliatti è l’omino con gli occhialetti, Sartre quello con un occhio da una parte e uno dall’altra.
Le abbondanti briciole sulla tavola sono il campo di battaglia di una cena che è finita portandosi via il grosso delle feste.
24, 25 e 26 dicembre si sono dati il cambio in staffetta senza che nessuno se ne accorgesse, lasciando a quei giorni che vanno dal 27 al 30 il timido compito di spazzolare gli avanzi, recuperando le energie in trincea in previsione della sferzata finale del cenone di Capodanno. Sono giorni in cui si mangia, ma più per abitudine; giorni in cui comunque non devono mai mancare clementine, datteri con mascarpone – per chi come loro se li può permettere – e, naturalmente, frutta secca.
Un colpo brusco.
Le briciole sobbalzano e ricadono sulla tovaglia consumata dai molti lavaggi.
È il nonno, che con il palmo teso della sua grossa mano, tenta di spaccare una noce ignorando di proposito lo schiaccianoci in bella vista sul vassoio. È un modo tutto suo di riaffermare la propria virilità, il suo ruolo di capofamiglia in un nucleo così strampalato in cui si alzano le voci e le mani,
ma alla fine tutti si vogliono un gran bene.
Non ci riesce mai alla prima botta. Frantumato il guscio legnoso della drupa, il nonno tenta chirurgicamente di estrarre i pezzi di gheriglio dalle macerie di quel frutto rugoso, operazione difficile vista la grande dimensione delle sue dita callose.
Il primo pezzo è sempre per la sua Annalisa, che lo accoglie come un’ostia consacrata e ne reclama subito un altro. I due vanno avanti così fino a che una sostanziosa montagnetta di gusci spezzati non si è formata sulla tovaglia.
«Con questi dopo ci possiamo giocare a Tombola!».
«Basta Annalù, che ti viene il bruciaculo e poi piangi».
«Zitta, te».
«Guarda che il bruciaculo ti viene anche all’età tua».
La nonna, ormai intromessa, ne approfitta per ricordare sgangheratamente un’abitudine che aveva da ragazza, secondo la quale ogni notte si alzava richiamata dalla vescica e una volta terminata la sosta al bagno controllava sempre la dispensa della cucina, come se qualcuno sfruttasse l’oscurità
per portare via le provviste. C’era un sacchetto di fodera blu – fatto con gli avanzi della sartoria di famiglia – in cui la nonna teneva le noci. Ogni notte, di ritorno a letto, le portava con sé per nasconderle sotto il cuscino, impavida dei dolori al collo della mattina seguente e fiduciosa nella
buona fortuna che quel gesto portasse alla sua vita durante la veglia e ai suoi sogni notturni.
A pensarci ora, cos’è una cervicale in confronto ai problemi di una volta?
Annalisa avvicina a sé il bottino di noci come farebbe il vincitore di una ricca mano di poker con le fiches. Studia la meraviglia di quello strano frutto, tanto minaccioso fuori quanto profumato al suo interno, e scopre stupita che ogni noce è un mondo a sé.
Ci sono quelle che sventolano subito bandiera bianca, frantumandosi arrendevolmente in mille pezzi, quasi avessero paura di altri traumatici colpi.
Ci sono poi quelle più difficili ad aprirsi, a cui bisogna applicare un poco di forza per riuscire a prendere il gheriglio intero, che – inevitabilmente – si spezza sempre sul più bello.
Ma ci sono anche quelle nate per aprirsi perfettamente in due, a cui basta sollevare un’estremità del guscio, come una coperta che lascia nudo il cuore del seme, chiuso in un abbraccio intorno al setto lignificato.
Lì basta un po’ di pazienza.
Lo si tira delicatamente come se si stesse disinnescando una bomba e l’abbraccio si scioglie in due speculari metà che sembrano ora cervelli, ora polmoni, a seconda della fantasia di chi immagina prima di metterle in bocca.
Per ottenere più in fretta due metà di guscio completamente integre, il nonno ha insegnato ad Annalisa un trucchetto.
Con la punta di un coltello, va a toccare il punto centrale di attacco delle due parti di guscio della noce e con una leggera pressione la fa scivolare come una chiave che apre una serratura.
La magia è fatta.
Ripete il gesto un’altra volta fino ad ottenere quattro gusci perfettamente vuoti, grazie al ghiotto aiuto della sua piccola assistente Annalisa.
Il nonno, poi, recupera il moccolo ormai spento di una candela natalizia dal candelabro a centrotavola, estrae un fiammifero dal pacchetto schiacciato dal peso delle sue natiche e dopo averlo acceso comincia a far colare la cera rossa all’interno dei gusci, goccia dopo goccia, fino all’orlo.
Annalisa è rapita, non vuole fare domande per non rovinarsi la sorpresa.
Non contesta neanche quando il nonno strappa uno dei fogli del suo album da disegno ricavandone tanti piccoli quadratini, o quando mette in disordine il suo adorato astuccio in cerca di un pennarello rosso. Che trova.
Ora può disegnare piccole croci sui pezzetti di carta.
Tocco finale: il nonno si allunga sulla tavola per estrarre dai grossi datteri straripanti di mascarpone gli stuzzicadenti con cui ognuno dei convitati dovrebbe servirsi. Ne recupera una manciata e dopo aver pulito rozzamente gli stecchini sulla tovaglia, infilza due volte con ognuno di essi ogni pezzetto di carta marchiato dalla croce. Ne risultano nove alberi maestri, che piantati nella cera ormai solida dei gusci di noce, danno vita a tre caravelle portoghesi.
Annalisa ha capito, e svuota il suo bicchiere d’acqua in un piatto sporco dimenticato sulla tavola.
Le navi vengono sistemate al suo interno.
La piccola mano di Annalisa, che porta ancora i segni colorati dei pennarelli, sembra un puntino vicino a quella nodosa, con le nocche storte e piena di vene gonfie del nonno.
Adesso basta solo un colpetto.
Il 30 dicembre 1964 la Nina, la Pinta e la Santa Maria sono pronte a prendere il largo dal piattino di ceramica decorata situato nel porto di via Goito 25, a Livorno.
di A. R.
Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti
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