Pochi minuti alla partenza, e un passeggero affannato si catapulta dentro il vagone del treno suburbano. È un uomo robusto, un po’ attempato, sprofondato dentro un impermeabile. Ha con sé una borsa di pelle e un giornale arrotolato, che tiene nella stessa mano.
Con una rapida occhiata, cerca dove sedersi.
Sceglie un sedile accanto al finestrino, dirimpetto a una studentessa che ha scaricato di fianco a sé lo zainetto e una cartella gonfia di appunti.
Resta libero un posto lato corridoio.
Le porte automatiche nel frattempo si chiudono, il treno sta per partire. Si sente un tramestio. Qualche ritardatario si è infilato all’ultimo momento tra le porte, impedendone la chiusura.
Di nuovo queste si riaprono, poi si richiudono, e il treno parte.
L’uomo attempato si volge a guardare. Scuote la testa e apre il giornale.
Sta per immergersi nella lettura, quando sopraggiunge il ritardatario, ancora intento a massaggiarsi le spalle, offese nell’impatto con le porte automatiche.
È un giovane dal colorito olivastro. Con un sospiro, si butta a sedere sul posto libero accanto all’uomo attempato. Questi gli allunga un’occhiata scontenta, sprimacciando un po’ il giornale.
L’altoparlante, nel frattempo, emana un annuncio: attenti ai borseggiatori!
Dietro il giornale, l’uomo si agita sul sedile. Nelle dita camuse del ragazzo avverte un senso di concreta minaccia. Quindi si alza di scatto, raccogliendo in fretta le proprie cose e si inoltra nel vagone, in cerca di nuova sistemazione. La trova accanto a due signore vestite elegantemente, accenna un saluto e si accomoda.
Il treno è partito. L’uomo con il giornale è immerso nella lettura. Di tanto in tanto allunga lo sguardo verso il fondo del vagone, dove ancora siede il giovane olivastro. È convinto che si tratti di un borseggiatore. Perciò lo tiene d’occhio.
Il ragazzo se ne accorge, e i loro sguardi finiscono per incrociarsi, affilati come lame.
L’uomo lo fissa, in modo eloquente. Lo so che sei un ladro, sembra voler dire. L’altro replica con una smorfia, poi sembra ignorarlo. Infine cambia idea. Si alza e attraversa tutta la carrozza, ondeggiante per la velocità. Fra i sobbalzi, raggiunge la postazione occupata dall’uomo con il giornale, lasciandosi cadere sul sedile di fronte a lui.
Le signore accanto si stringono un po’. Lui sprofonda tra i braccioli, l’aria strafottente. Cava di tasca un cellulare, con cui comincia ad armeggiare.
L’uomo attempato alza il giornale davanti a sé, a mo’ di barriera. Prova a concentrarsi, ma quella presenza molesta gli impedisce la lettura. Infine ripiega il quotidiano sulle ginocchia, lanciando verso il tipo occhiate malevole, e incrocia le braccia.
Tranquillo, ti tengo d’occhio, sembra voler dire, sorvolando con lo sguardo la borsetta che una delle signore, distrattamente, tiene appoggiata di fianco al giovane olivastro.
Nel frattempo, una nenia arabeggiante, esce dallo smartphone di qualche altro teppista, annidato chissà dove, comincia a stordirlo, infine a cullarlo.
***
Il treno corre nel buio. L’uomo attempato si sveglia di soprassalto. Neppure si era reso conto di essersi addormentato. Si guarda attorno, confuso. Il tempo di accorgersi che il posto davanti a lui, dove poco prima sedeva il ragazzo, è vuoto. Anche le due signore sono sparite.
Il vagone è pressoché deserto.
Per un attimo si guarda attorno, smarrito. Poi lo colpisce un pensiero e prende a frugarsi le tasche, affannosamente.
Il portafogli! Fruga ancora, senza esito. Maledetto! Si alza, si guarda attorno, sporgendosi a scrutare d’infilata l’interno dei vagoni. L’annuncio della prossima stazione gli fa capire quanto a lungo fosse durato l’abbraccio di Morfeo. Non molto, ma di certo abbastanza per dare modo a quel delinquente di alleggerirlo.
Ricorda molto bene la faccia, del ladro, e il lampo sinistro di quelle dita camuse. Magari le porte gliele avessero tranciate!
Nel ricadere sul sedile, per riprendere fiato – sporgerà denuncia appena giunto in stazione – sente un peso opprimergli il petto. L’infarto! Si agita, porta la mano sotto la giacca, sul lato del cuore, e… incontra il portafogli! Poco prima, nel prendere la metro, dove i borseggiatori sono in agguato, lo aveva spostato lì dalla tasca posteriore dei pantaloni. Se ne era dimenticato.
Scuote la testa, sorride, traendo un respiro profondo. È salvo. D’improvviso si sente leggero.
Per un po’ si rilassa, guardando il paesaggio che scorre dietro il finestrino. Quindi si riprende, raduna le sue cose, calcola il tempo, non più di dieci minuti, che ancora mancano all’arrivo.
Sollevato, riapre il giornale, direttamente sulla pagina dedicata alla finanza, e lì si rincuora.
Grazie ad un vecchio amico, esperto del settore, quel giorno ha concluso un ottimo affare riuscendo ad aggiudicarsi, in extremis, le azioni di un gigante asiatico, la YHK. L’azienda, spiegava l’amico, si trova alla vigilia di un importante accordo sindacale, che determinerà nell’immediato un sicuro rialzo azionario. In breve, quel titolo sarebbe volato, e così le quote di chi avesse investito.
***
Proprio di quei dati si stava occupando, dall’altra parte del mondo, un giovane impiegato di borsa. Velocemente, li inseriva al computer. Per ogni tasto sfiorato, lo attraversava una smorfia di dolore. Quella mattina aveva preso al volo la metropolitana, a rischio di spezzarsi le falangi, pur di forzare la chiusura delle porte, e non tardare così al lavoro. Alcune dita apparivano gonfie e violacee, tanto che ancora durava fatica a piegarle. In quelle condizioni l’intera giornata, trascorsa incollato alla tastiera, era stata un vero calvario.
Finisce il lavoro che è notte. Infine si può rilassare. Scambia due parole con i colleghi. Gli consigliano di applicare del ghiaccio, avrebbe dovuto farlo subito. Poi, chi ha famiglia si avvia verso casa. Gli altri come sempre, non sanno bene che fare. Forse andranno a bere, da qualche parte.
Il giovane impiegato sospira, volgendosi a guardare, dietro le vetrate, l’occhieggiare luminescente della città verticale.
In qualche angolo di quel firmamento, sa che sua madre gli sta già preparando la bevanda di conforto. Succo di arancia caldo. Gli era capitato una volta di farlo assaggiare ad un amico straniero, che aveva fatto una strana faccia.
Un’ultima volta si stira sulla sedia girevole, compiendo un giro completo. Scrolla, con una smorfia, le dita tumefatte. Sul punto di alzarsi, si ferma. Nell’ufficio deserto avverte qualcosa, nell’ombra, in procinto di avanzare verso di lui. Come un’onda gigantesca, pronta a travolgerlo.
Ricade a sedere contro lo schienale guardandosi in giro. Tutto però sembra tranquillo, lì dentro e anche fuori.
È che sono stanco, pensa, finendo di raccogliere dalla scrivania, un po’ a fatica, le proprie cose.
Volge un ultimo sguardo attorno, all’ufficio ancora illuminato e deserto, in preda ad una strana sensazione. Che si tratti di un addio.
Poco dopo, abbandonato su un sedile della metropolitana, la mente vuota, contempla una volta di più le falangi ammaccate, fino a riconoscervi una curiosa espressione.
Sembrano chiedergli scusa. Lui sorride. Eppure, per causa loro ha appena perso il lavoro. Ancora, però, non lo sa.
Due zeri in più, digitati per errore dalle povere dita immolate al rispetto dell’orario, e nel giro di poco le azioni della YHK, indiziata di un esborso insostenibile, sono andate in fumo.
Un tipo di incidente non nuovo negli ambienti di Borsa, battezzato come Fat finger.
Numeri silenziosi, felpate tastiere. Uffici deserti, riverberi di luce attraverso le vetrate oscure, come sguardi assonnati. Sulla baia di grattacieli e giunche è ormai notte fonda.
Lontano, molto lontano da tutto questo, l’uomo attempato è giunto in stazione. Inquieto, scruta in silenzio tutti quei volti neri o grigiastri, minacciosi, che si aggirano sulle banchine ormai avvolte nella luce incerta del crepuscolo. Riporta la mano sul portafogli. Con senso di gratitudine, ricorda il colloquio avuto con il suo amico esperto di finanza, su quello stesso treno, la mattina. Da parecchio non si incontravano. Una vera rimpatriata, oltre che fruttuosa, per tutti i risparmi investiti. Ricorda, YHK! Davvero simpatico, l’amico. E poi, convenivano su ogni cosa. Anche sul fatto che perfino viaggiare su quei convogli, ormai, è divenuta un’impresa rischiosa…
di Stefano Morleschi
Nato a Genova, scrive e disegna dalle parti di Como. È autore di racconti, “Treni pendolari” – 2011, “Rue de l’aiguillerie” – 2013 ed. Moby Dick, in antologia “Mangia, Scrivi, Eataly” – 2015 – Rivista Letteraria n.4-5-7 2016 – 2017 – 2019 – rivista Pastrengo – 2019 e aforismi (“Derive” ed. Josef Weiss 2006).
Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti
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