così giacevamo nel limo torbido dei greti
tra i compatti cumuli di roccia assisi
nel tardo gelo degli autunni vegliavamo
vigili sui nostri sassi cupi i nostri anfratti
così restavamo trepidi nell’ombra nel fluire
dell’acqua assolti dai chiarori spenti dal
riflesso rorido nel cavo di crepuscoli
e ora che di terra e legno tutto luce
questo suolo ci leviamo nel fumo
dei sentieri ché i pulviscoli, la polvere dei mondi non
ci ha offuscati ci ha lasciati intatti
e puri negli spazi iridescenti nella fiamma
dell’albore ci leviamo siamo in
piedi adesso, siamo dèsti
Si levino queste parole con i falchi ammaestrati
e arrivino ai distretti remoti ai posti di confine
tu sei qui con me: è un sollevarsi senza peso
via dalle umide zolle dai prati madidi di guazza
verso le costellazioni le voragini celate dall’azzurro
nel vapore che offusca le radianze nei chiarori illimitati
Si levino queste parole alle orbite geostazionarie
e i satelliti le riverberino all’inconcepibile ignoto
tu sei qui con me: io canto alle distanze siderali
il tuo sorriso involato che illumina i celesti bastioni
cesellati dal giubilo dei voli dei rondoni nei tuoi occhi,
nei tuffi dalle balaustrate aperte alle verticalità meridiane
Si levino queste parole dalle pagine vetuste
quando saranno solo macchie su carta ingiallita
e si propaghino di faro in faro, salgano sulle mongolfiere
risuonino sui treni panoramici dai padiglioni in festa:
tu sei con me adesso nel tripudio dei fiori e dei vènti
nella luminosa vulnerabilità del giorno respiriamo vivi
Io odo la celata musica
il segreto sussurrato nel silenzio
per chi mi ascolta scendo nel silenzio
ove esiste solo musica
nascosta
E come pescatore còlto carico di perle
emerge dagli abissi
emergo dal silenzio
con un solo carico di versi
levigati come perle levigate dagli abissi
Ed essi echeggiano la musica velata
ch’eternamente suona nel silenzio
come perle tratte dalle tenebre
riflettono
la luce
E pure non sei sorpresa
ch’io riesca a ritrovare la strada, che chiami
per nome questi ciuffi d’erba sbiadita
nati l’altroieri, quando un vento li sfiora e
sussurra i murali presso gli angoli celati
che l’usura ha cancellato.
E pure non sei sorpresa
se l’acqua goccia via dalle mie mani a coppa
che ti disseta, dove una lucciola
opaca brilla dalle lampade appannate
il cui solo suono è volo di falene
che non emanano più ombre.
E pure non sei sorpresa,
se l’unica luce che riveli l’oro impolverato
non filtra dal cielo di questa notte
ma è riverbero di costellazioni tramontate da tempo;
di una luna dimenticata dagli uomini ma che io non ho dimenticato.
Solo negli spazi aperti, nelle viste ininterrotte
troveremo riparo:
quando chiederemo tregua alle verticali immensità
sollevando lo sguardo alle altezze inafferrabili,
e i poderosi grattacieli dei nembi ci indicheranno
le distanze assolute; quando impareremo a nuotare
nei tersi oceani di luce a navigare le chiarezze sconfinate
ché lo spirito salga ad abitare le sue stanze nei celesti
santuari, accordando il suo moto al divenire del giorno.
Solo alle terrazze spalancate alle vastità vuote
troveremo rifugio.
di Vincenzo Moggia
Illustrazione in copertina di Andrea Stendardi
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