Capace di perdere un cacciavite,
rimandare i controlli
e disperarsi per un amore non ricambiato.
Il divano a fiori su cui mi sostegno
appassisce.
Una serie di rispettose,
razionali,
scelte civiche
e mezzo chilo di pane,
ci distanzia.
Il giorno soffoca
febbrile e muto
nella notte;
le mie ore sono fatte di sabbia
e non si mescolano
con le tue di cuoio.
Attendere e non delirare
davanti allo specchio:
un’altra mi guarderà
con sguardi di zucchero
e si prenderà
le mie beghe e
il mio corpo dove
trapianterò questo vacante sentimento.
Incapace a programmare una pagina,
inadatto allo spettacolo e a trattenere una qualsiasi fantasia.
Sdraiato: profilo fetale in quest’ansa stagnate.
Bagnato dal fluire putrido di questo fiume
m’incurvo, come un sopracciglio, in un riso
maligno e nervoso. Trafitto da un colpo alle spalle.
Mangiare le unghie, le dita e una volta terminate
rosicchiare l’osso, a fatica, come avessi denti di legno.
Con lo stesso accento, la stessa inflessione nel pronome
e le stesse pause dici: “tocca il mio ventre”,
dici: “dispongo il mio bagaglio e vado fuori”.
Fosse nel nero di una buonanotte, saprei come orientarmi,
fosse in un capriccio d’estate, saprei come orientarmi,
ma tuttora è primavera e il sole si lascia ancora guardare negli occhi.
Nel comune vuoto planano gli aerei di carta
e si ammassano scheletri in questa insenatura.
Ci sono anche i detriti, i miei organi,
e un punto d’inchiostro si è essiccato.
Darò una pulita a tutto, sì, e proverò a contare fino a dieci.
Uno strato di polvere si è ormai depositato sull’ultima parola.
I miei spiriti mi stuprano come si stupra un bambino;
quel bambino di quattro, cinque anni,
non di più. Mi racconta cos’è un mattatoio.
È come enorme tritacarne, dice,
Serve a mangiare, dice.
Però a me non piace pensarci quando sono a tavola, dice.
Avverto freddo in ogni nervo del corpo,
nella vena in bassorilievo sul collo,
un freddo che si mischia col sangue e
mi lascia la sensazione che non mi scalderò più.
Mi avvolgo in una carcassa
come fosse un lenzuolo su cui hai giaciuto.
Si va verso la sera e la brezza diventa blu scuro,
alle porte di un altro anniversario
e nessuno che si arrischia a farmi un regalo,
di regali devo rifornirmi da solo e non ho più manco una moneta.
Indugerò. Cullerò il vuoto dei natali disabitati che mia madre ha scandalosamente partorito.
di Fabrizio Sani
Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti
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