menu Menu
Follia
Parole di Daniele Bergonzoni ~ Illustrazione di Andrea Stendardi
Posted in Incubi on 30 Giugno 2021 7 min read
Duckburg 2251 Previous Rispetta la procedura Next

Lo vedo, è lì davanti a me.
Non può essere umano; ciò non può esistere su questa terra. Eppure mi sta osservando, qui, in casa mia. Chi può aver concepito qualcosa di simile, di così orrido a vedersi.
Non soltanto i suoi occhi, bensì anche il volto, la sua fisionomia. Un viso che non può definirsi tale. Quelle rughe così estroflesse e fortemente marcate, orride.
Perché è giunto da me? Per quale colpa devo essere punito in modo così atroce?
La paura è tale che il mio fisico debilitato dagli anni non regge la sua presenza. Come la notte precedente rimango seduto su questa vecchia poltrona ingiallita dal tempo e dai continui getti di urina dei miei maledetti gatti, quand’ecco che, alzando lo sguardo, i miei occhi si imbattono nuovamente nei suoi senza riuscire più a fare altro. Tremo.
In questo secondo incontro i nostri sguardi rimangono a studiarsi, ad interrogarsi a vicenda senza che nessuno dei due proferisca parola. Percepisco la sua volontà a sopraffarmi ed uccidermi; forse per il semplice fatto che è anche la mia speranza nei suoi confronti.
Sono trascorsi molti giorni da quel primo incontro e la sua presenza si è fatta sempre più frequente, non solo quando sono a casa, no, anche mentre passeggio spensierato lungo le strade della città. Giusto questa mattina ero in biblioteca ed improvvisamente l’essere si è presentato dietro uno scaffale di vecchie riviste. Nel silenzio della contemplazione le mie urla si sono propagate nella sala come onde d’urto di una detonazione. Tutti si sono voltati verso di me, impauriti.
Chiamato uno dei responsabili, gli ho indicato la causa della mia agitazione. Questi, appena osservato l’essere, se ne è andato impaurito senza più rivolgermi la parola.
Dunque non sono il solo a vederlo.
Mi chiesi nuovamente del perché fossi stato scelto io tra tanti, per quale motivo perseguitarmi.
Aggirandomi nel budello dei piccoli vicoli del centro storico, colgo con la coda dell’occhio il suo passo incalzante dietro al mio.
Lo intravedo riflesso in una vetrina, poi in un’altra. Cerco di affrettare il passo ma senza successo, continua a pedinarmi senza sosta. Favorito dalla ressa domenicale provo a deviare all’ultimo istante in un viottolo secondario, intrufolandomi in un locale ricolmo di persone. Trascorrono alcuni minuti senza vederlo e la speranza di averlo seminato comincia ad insinuarsi dentro la mia mente.
Nella penombra della sala non scorgo che volti sconosciuti, privi di importanza.
Poi, come in un incubo senza fine, eccolo di nuovo davanti a me. Noto che anche lui è madido di sudore, i capelli arruffati, il torace che si alza ed abbassa a ritmo frenetico.
Mi fissa pieno di odio e risentimento.
Quanto invidio quel groviglio di esseri umani che mi circondano. Sorridenti ed ignari del fardello che sono costretto a portare oramai da non so quanto tempo. Tuttavia sono questi individui che devo ringraziare; senza di loro avrebbe già scagliato tutta la sua rabbia su di me, facendomi soccombere.
Esco dal locale andando ripetutamente a sbattere sugli avventori; alcuni dei quali non risparmiano insulti verso la mia persona.
Se solo sapessero… Non posso permettergli di raggiungermi.
Percorro ansimante le strade ormai deserte a passo sostenuto. La notte, assieme alla fitta nebbia, si è impossessata degli edifici che mi circondano. Persino i portici che costeggio per tornare alla mia abitazione sembrano ponti sospesi nel nulla assoluto; solo qualche lampione ad intervalli regolari offre una bolla ovattata di luce color ocra, la quale continua la sua battaglia personale per non soccombere anch’essa alle tenebre. Il rumore dei passi che rimbomba nell’aria è l’unico rumore che riesco a percepire. Tuttavia so che l’essere non è molto lontano.
Mi chiudo il portone alla spalle senza guardarmi indietro.
Forse vivrò un altro giorno
Guadagno la prima rampa di scale mentre sento dei rumori provenire alla mie spalle.
Voltandomi noto che la porta d’ingresso situata nel grande androne ha subito un leggero scossone dall’esterno.
Sta cercando di entrare. Devo sbrigarmi.
Corro all’impazzata sino al mio pianerottolo mentre, dal basso, l’orecchio capta l’inconfondibile rumore dei cardini che, alcuni piani sotto, cominciano a cigolare. Il rimbombo nella tromba delle scale della porta che si chiude non fa che confermare ciò che temo.
Non so come ma ha guadagnato l’ingresso. A breve sarà qui.
Entro all’impazzata, chiudendo a chiave l’accesso all’appartamento e spostandoci davanti una vetrinetta ricolma di ammuffiti cataloghi delle Pagine Gialle ereditate assieme all’immobile.
Passano i minuti e niente accade. Guardo dallo spioncino e l’unica immagine di ritorno è quella di un foglio nero; tutto tace. Mentre i nervi cominciano lentamente a rilassarsi, dentro di me si fa strada la probabile soluzione a tutto quanta la faccenda.
La prossima volta dovrò affrontarlo. Non potrò fuggire per sempre.
Decido di appoggiarmi sulla vecchia poltrona e pensare ad un possibile piano di azione, tuttavia la stanchezza dovuta alla fuga, unita ad un calo di tensione non mi concedono che pochi minuti di ragionamento. Mi addormento con la testa che man mano si accascia su di una delle imbottiture laterali.
Mi sveglio di soprassalto. Non so per quanto ho dormito e nemmeno che giorno sia. L’unica cosa della quale sono certo è la sua presenza.

Lo vedo, è lì davanti a me.
Mi fissa con quegli occhi folli e non accenna a distaccare lo sguardo dal mio. Il terrore mi pervade.
Le pupille così cupe, così profonde, così sproporzionatamente enormi rispetto alla dimensioni delle orbite.
Questa volta decido di tenere saldi i nervi; di non soccombere come la prima volta.
Ci studiamo ancora. Il suo sguardo sprofonda talmente nel mio che quasi ne percepisco un potere oscuro di carpire i più profondi segreti che si annidano nella mia mente.
Nonostante questo continua a non muoversi, anzi, sembra in parte spaventato da me quanto io lo sono di lui.
Decido di agire dopo avere respirato profondamente. Cominciò ad alzare una mano quand’ecco che noto che anche l’essere alza la sua, quasi ad imitarmi. Cerco di mantenere la calma e procedo con il muovere il braccio nella sua direzione. Incredibilmente decide di fare lo stesso.
Il mio corpo si tende leggermente in avanti mentre il mio dito indice si prolunga verso la causa dei miei incubi.
TIC
Il polpastrello viene a contatto con una superficie fredda e liscia mentre, dall’altra parte l’essere sembra aver assunto un atteggiamento di sorpresa.
Per osservare meglio decido di sporgermi con tutto il busto in avanti. Non sono mai stato così vicino a quello scherzo della natura. La sua bava, incanalandosi nei solchi delle profonde rughe, descrive come dei piccoli fiumiciattoli lungo le guance. Procedo sempre più sapendo che la mia vita è in pericolo.
Ora è la mia fronte a trovarsi a contatto con quella superficie fredda e liscia; con quello specchio.
Dunque, l’abominio sono io.

di Daniele Bergonzoni

Bolognese, classe 1984. Dopo una laurea Magistrale in “Archeologia e Culture del mondo antico” conseguita presso l’Università di Bologna e varie esperienze sul campo, trova il proprio cammino professionale nel mondo della logistica dedicata agli eventi fieristici. “Follia” è la sua prima pubblicazione in una rivista online.

Illustrazione in copertina di Andrea Stendardi


Altra roba che potrebbe interessarti:

Chiamata all'incubo Daniele Bergonzoni Follia Incubi


Previous Next

keyboard_arrow_up