Duckburg Today – 3 Aprile 2235 – Scrooge esce allo scoperto ed investe nella ricerca.
The Drake Post – 30 Gennaio 2243 – Duckburg verso il futuro. Scrooge inaugura tre nuovi distretti.
New Duck Times – 7 Luglio 2247 – Gyro Gearloose lascia il laboratorio di Scrooge. Il magnate accusa: “contatti con terroristi”
Goosehealth – 7 Dicembre 2250 – Inizia l’era delle biotecnologie. Il Ministero della Salute dichiara il Duckchip obbligatorio.
1
Decisamente Incerto
Un altro giorno senza sole a Shacktown. In alto le spesse nubi nere continuavano a sovrastare i grattacieli, privando la città della luce naturale e bagnandola di pioggia acida.
Donald alzò appena lo sguardo sopra la folla in cui era immerso. Sul marciapiede opposto un trafficante indiano, che aveva allestito un banchetto di cianfrusaglie elettroniche, parlava concitatamente con un papero finlandese, in quella lingua internazionale che suonava come un barattolo di latta scalciato per terra. Intanto un gruppetto di giovani colombiani vestiti di scuro e dallo sguardo truce lanciava occhiatacce dall’angolo della strada.
Le insegne al neon, fissate alle pareti cadenti dei fabbricati, si accalcavano l’una sull’altra, colorando l’asfalto umido con varie tonalità di giallo, rosso e rosa, mentre da un fastfood giapponese si spandeva forte odore di sushi.
Si strinse nella giacca in pelle sintetica e s’insinuò a spallate nella calca. In lontananza, oltre i palazzi, poteva vedere il gigantesco dollaro del deposito illuminato di bianco. Un onnipresente monito ai Duckburghesi.
Qui comando io.
Svoltò in un vicolo per uscire sulla strada C-82 ed allontanarsi, diretto verso un complesso industriale dismesso. Si fermò davanti ad un ronzante distributore di sigarette mezzo scassato, scelse le Zhongnanhai e passò il dito sul sensore luminoso. Il pacchetto scivolò giù senza problemi. Segno che la Spark stava ancora inibendo i blocchi che gli avevano innestato nel duckchip.
Continuò a camminare, passando per la strada più desolata della città. Sporcizia e barboni adornavano i marciapiedi, l’aria era quasi irrespirabile. È così che va a Duckburg, stai al passo o diventi feccia.
La mano di Donald strinse qualcosa nella tasca, poi il papero si fermò davanti ad un largo e cadente portone composto da lastre di metallo arrugginito. La vernice se n’era andata via quasi completamente e dalle chiazze ancora integre si poteva a malapena intuire il nome di una vecchia fabbrica di composti chimici. Afferrò la grossa maniglia è tirò, facendo cigolare rumorosamente la porta.
La struttura all’interno era fatiscente. Le macerie si accumulavano ovunque, i muri erano coperti di graffiti a vernice spray e l’unica luce che illuminava l’area proveniva da una piccola lampada che scendeva giù dal soffitto e dai lampioni, filtrando da una bassa finestra rotta. Attraversò la sala, diretto verso una porta a chiusura stagna con un oblò al centro. Bussò tre volte.
«Gyro! Sono Don!»
Nessuno rispose.
Bussò con più forza e la porta si aprì da sola, lentamente. Una corrente di aria fredda lo colpì al petto. Gyro lavorava sempre a bassissime temperature. Entrò stringendosi nella giacca e le sue zampe calpestarono delle schegge di vetro.
Il laboratorio era completamente a soqquadro. Provette, strumenti e appunti erano sparsi ovunque, i cassetti del bancone centrale erano stati sfilati dai loro incassi e rovesciati a terra. La stanza era completamente immersa nel silenzio, fatta eccezione per l’incessante ronzio delle fredde luci al neon.
Donald aggirò il bancone e per poco non scivolò quando vide il corpo di Gyro Gearloose immerso in una pozza di sangue.
«Cazzo!» Esclamò spalancando gli occhi. Gyro giaceva bocconi con gli occhi spalancati, il becco semiaperto ed il giaccone zuppo di sangue e robaccia chimica dall’odore simile alla formalina.
Per qualche istante restò immobile ad osservare il cadavere, poi si ricordò il motivo della sua visita e cominciò a rovistare nervosamente tra i rottami sparsi a terra. A Donald tornò in mente la predizione che quella mattina aveva letto sulla sua preziosa Magica Palla 8. Non aveva chiesto niente di troppo complesso: arriverò anche oggi a fine giornata? Aveva afferrato la sfera con entrambe le mani e l’aveva scossa. Sul piccolo oblò incastonato sulla superficie nera era emerso un triangolino azzurro con il responso.
Decisamente incerto.
Sotto un cumulo di carte sparse a terra le sue dita raggiunsero qualcosa di liscio e freddo.
«Trovata!»
Donald sollevò alla luce un cilindretto metallico con un foro sulla base ed un pulsante cromato sull’altro lato. Spark, una droga composta da nanomacchine in grado di disabilitare i blocchi di sicurezza del Duckchip. L’unico modo per sopravvivere, se eri già al tuo secondo arresto.
Donald si girò di scatto. Aveva sentito un rumore. Una serie di ronzii meccanici in rapida sequenza.
Guardò la porta e lo vide, alto circa una ventina di centimetri con una lampadina al posto della testa, corpo esile, braccia e gambe scattanti. Edi, il piccolo assistente robotico di Gyro, schizzò fuori dal laboratorio. Don scattò verso la porta, seguendo il bagliore della lampadina che si muoveva ritmicamente verso le macerie dello stanzone principale. Al papero bastò qualche falcata per raggiungerlo ed afferrare al volo il corpo metallico. Lo sollevò all’altezza del muso e lo scrutò.
«Dove te ne vai, Edi?» Chiese Don, serafico.
L’assistente si agitava convulsamente, ronzando senza posa. In una mano stringeva un disco ottico.
«E questo cos’è? Fa’ vedere.»
Don glielo strappò via e lo esaminò sotto la luce della lampada appesa al soffitto. Sulla superficie liscia del disco, l’inventore aveva vergato una sola parola con un pennarello: DAISY Donald si immobilizzò per un istante, poi guardò il robot.
«Cos’è, uno scherzo?» il tono si era fatto duro ed irritato. Edi, tuttavia, aveva semplicemente smesso di agitarsi e faceva dondolare la testa aspettando che l’altro lo rimettesse a terra.
Un grosso furgone frenò al di là del portone della fabbrica. Donald sentì il rumore di sportelli che si aprivano e stivali in termoresina che si muovevano veloci sull’asfalto. Don capì di essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con l’oggetto sbagliato. Con Edi nella mano destra ed il disco ottico nell’altra si precipitò fuori dalla finestra.
Decisamente incerto, pensò.
2
La Tecnomante
L’appartamento di Amelia si trovava al confine tra Shacktown ed il Distretto Industriale Due, al quarto piano di uno stabile che – questione di tempo – sarebbe stato demolito per far largo a qualche nuova fabbrica di protesi ipoinvadenti.
La moquette del corridoio sbuffava polvere ad ogni passo e l’odore di muffa trasudava dalle pareti sverniciate. Donald bussò tre volte alla porta rinforzata e dopo qualche secondo Amelia aprì uno spiraglio. Il papero poteva vedere gli occhi modificati scintillare nel buio della stanza, mentre i capelli corvini dai riflessi bluastri si confondevano con l’oscurità. Edi restava inerte, stretto nel pugno sinistro di Donald.
«Che cazzo ci fai qui?» sibilò lei da dietro la porta.
«Mi serve un favore…»
Non lo lasciò finire. Amelia gli prese la mano destra e premette l’indice su un dispositivo elettronico che teneva nell’altra mano. Donald la lasciò fare. Dopo qualche secondo, l’aggeggio bippò e si illuminò una luce verde.
«Non mi stanno tracciando» precisò lui, ritirando la mano di scatto.
«Per quanto ancora?»
«Non molto. Ma ho un’altra dose.»
Lo lasciò entrare.
L’appartamento era composto da un’unica stanza piena di cianfrusaglie e vecchie componenti di computer. In un angolo, sul pavimento, un materasso in termopiuma ed un piccolo frigorifero. Gli unici mobili veri e propri erano una scrivania da ufficio e una sedia girevole sgangherata, illuminati debolmente da uno schermo. Il piano era coperto da cd, confezioni vuote di tagliolini cinesi e posacenere improvvisati. Don lasciò che Edi zompettasse in giro per la stanza. Amelia stava in piedi, appoggiata alla scrivania.
«Be’? Che ti serve?» chiese, accendendosi una sigaretta.
Donald estrasse il dischetto dalla tasca e glielo porse. Amelia esaminò il prezioso oggetto e lesse la scritta.
«Da dove viene?» chiese.
«Da Gyro.» Donald la fissava, ritto ed immobile di fronte a lei.
«Non puoi chiedere a lui?» Disse semplicemente, rigirandosi il cd tra le dita.
«È morto.» Non c’era emozione nella voce di Don. Morire, accadeva tutti i giorni. Era un fenomeno a cui i Duckburghesi si erano abituati da tempo. Persone che vedevi tutti i giorni, pezzi della tua vita, potevano sparire da un momento all’altro senza lasciar traccia. Da questo punto di vista, aver ritrovato almeno i resti di Gyro era già un evento fortunato.
«Cosa?! Quando è successo?»
«Non lo so, ma ho visto il corpo.»
Amelia tornò a guardare il cd.
«Donald…» Cominciò lei, alzando gli occhi sul papero mostrando, a Donald sembrò, compassione.
«No!» La interruppe «Lo devo sapere, Amelia. Devo sapere se lei c’è ancora.» La voce gli tremava. Tremava di rabbia e disperazione.
La papera abbassò lo sguardo e annuì. Si sedette alla scrivania ed inserì il cd nel computer. Le eleganti dita scivolarono sui tasti e sullo schermo comparve qualcosa.
D.A.I.Sy.
WO199tJgnflEjHmhoz255PhuTgLDr6XC9hgvIwqjtxnNMZRqtvtoLwONhczUl6NsLmbhVePweVVn9zt9I97HclelakdZvVtoMBMLvdxU7SE2SqhQfD28AMsPirlRc3DREslkDGs3yUDxkYIWh0BfZwjLjaM3jQznVPpiFwP1K4l6RD1kAyxiGru7v1rORSBECitvo6Q4RldD63YlVhdVuR2sspKrDl90G92IIcEnqgRzJzGLOpt91JSM5lmI0fty5FFCMAjBgNJJOYQKHh0dFhXCyFOBSWThGOi…
Il file continuava per diverse pagine.
«Che roba è?» Chiese Donald fissando il monitor. La luce illuminava entrambi i volti nel buio della stanza.
«Un file cifrato… Qualsiasi cosa ci sia scritto, dev’essere molto importante» Rispose Amelia scrutando le righe.
«Puoi decifrarlo?» Domandò lui.
«Stai scherzando? Certo che posso» esclamò l’altra guardandolo stizzita.
«Quanto tempo ci vuole?»
«Dammi qualche ora ed avrai il tuo file. Ora lasciami lavorare.» Intimò lei, battendo sulla tastiera.
«Grazie.» Riuscì a dire Don.
«Fatti quella dose prima che il tuo cd diventi il mio nuovo posacenere.»
Le dita di Amelia battevano senza sosta nell’assoluto silenzio della stanza. Donald si era seduto in un angolo, accanto ad una pila di pezzi di plastica e circuiti stampati. Aveva acceso una sigaretta, si era tolto la giacca ed aveva stretto la cintura al bicipite sinistro. Estrasse dalla tasca dei pantaloni il cilindretto metallico e se lo rigirò tra le dita, osservandolo con il mozzicone stretto nel becco. Su una delle facce ammiccava il piccolo foro nero. Donald la appoggiò con cura sulla vena del braccio e con il pollice premette l’altra estremità del cilindro, facendo scattare il pulsante. L’ago fuoriuscì con un sibilo, perforando la pelle e rilasciando la Spark. Poi il papero tirò indietro la siringa e si tolse la cintura dal braccio.
Un acutissimo formicolio cominciò a salirgli lungo la spalla fino alla nuca. Una serie di brividi lo scosse mentre la vista gli si riempiva di vivide macchie danzanti. Si appoggiò alla parete e rimase immobile per almeno cinque minuti. Quando i sintomi si placarono, allungò la mano verso la giacca e frugò al suo interno. La mano riemerse stringendo la Magica Palla 8. La reggeva davanti agli occhi con entrambe le mani, guardandosi riflesso nel vuoto del piccolo oblò.
«È ancora viva?» sussurrò debolmente.
Agitò la sfera un paio di volte ed aspettò il responso. Un triangolo azzurro emerse dall’oscurità con su scritta la risposta dell’oracolo.
Buone Prospettive
Donald lesse quelle due parole finché il triangolino non scivolò di nuovo nel buio. Poi si addormentò.
Diverse ore dopo il papero venne svegliato dalla mano Amelia che gli schiaffeggiava piano la faccia.
«Svegliati, ciccio. Il tuo file è pronto.» gli comunicò, curva su di lui. Donald sbatté le palpebre gonfie e la guardò intontito.
«Ho sognato un lago…» borbottò con voce roca mentre l’altra tornava a sedersi sulla sedia sbilenca.
«Suggestivo… Ora vieni a dare un’occhiata. Il file risale al 12 maggio 2028.»
Donald si alzò e andò a scrutare lo schermo, appoggiandosi con i palmi alla scrivania e restando in piedi. Sul monitor lampeggiavano delle scritte:
D.A.I.Sy.
Duck Artificial Intelligence System
by Scrooge Corp.
Amelia cominciò a scorrere il documento. Degli schemi di circuiti comparivano di tanto in tanto assieme a tabelle, dati, grafici e persino qualche disegno con cervelli e midolli spinali. Il tutto era corredato da complesse spiegazioni e lunghe didascalie.
«Non ci capisco niente…» Commentò Donald facendo guizzare qua e là gli occhi sullo schermo.
«Sembra un prototipo di intelligenza artificiale che sfrutta come base i processi neurali di un vero cervello», spiegò Amelia «Leggi qui.» La papera picchiettò l’indice sul monitor.
Dalle stime ottenute durante le ricerche degli ultimi anni è stato appurato che nessun elaboratore sarà mai in grado di partorire spontaneamente un’idea o un concetto. Si possono creare computer capaci di dipingere un quadro, scrivere una poesia, comporre musica, ma per quanto questi prodotti risultino verosimili, essi non sono che approssimazioni, emulazioni meccaniche e semplicistiche di una mente senziente.
Il processo creativo, dunque, resta una prerogativa del cervello naturale.
Tuttavia, se è vero che non possiamo creare una rete neurale elettronica che possa eguagliarne una reale, è altrettanto vero che possiamo sfruttare quella di un normale encefalo per fornire ad un computer la capacità di pensiero.
Scopo del D.A.I.Sy. è quello di verificare questa possibilità collegando una macchina di ultima generazione al sistema nervoso di un paziente. Se l’esperimento avrà successo, avremo raggiunto un traguardo nel progresso scientifico mai raggiunto prima. Una nuova era, quella delle idee automatizzate e della singolarità tecnologica.
Nella stanza calò il silenzio. Donald fremeva, scorrendo il documento con lo sguardo senza realmente leggerlo. Ormai aveva capito. Amelia si voltò verso di lui.
«Pensi che il paziente possa essere lei?» Gli chiese.
«Non lo so… Ma quel vecchio ne sarebbe capace.» Rispose a becco stretto. Si staccò dal tavolo ed andò a raccogliere la giacca.
«Inoltre… » aggiunse mentre se la infilava «…ho un buon presentimento. »
«Aspetta, dove credi di andare?» Chiese Amelia, alzandosi dalla sedia malconcia. Anche Edi fece capolino da dietro un cumulo di schede elettroniche.
L’altro s’era già avviato verso la porta.
«A far visita a mio zio.»
3
Sogni e silicio
L’enorme simbolo del dollaro brillava di un’accecante luce bianca e Donald si trovava esattamente ai suoi piedi. Gli spigoli dritti e neri del deposito di Scrooge erano appena percettibili nel buio della notte piovosa. Scrosci di grosse gocce d’acqua si riversavano sul papero, inzuppandolo dalla testa alle zampe mentre percorreva gli ultimi metri della lingua d’asfalto che risaliva la collina fino all’ingresso dell’edificio.
Appena il corpo di Donald venne intercettato dalla fotocellula, le due grandi porte a vetro si aprirono automaticamente con un sibilo. Dentro si poteva intravedere una sala con due scalinate ricurve che salivano verso il primo piano ed incorniciavano un ascensore cilindrico posto al centro. Varcò la soglia e la porta si chiuse alle sue spalle.
Il pavimento era di un lucido marmo nero mentre le pareti erano rivestite da pannelli di legno elegantemente decorati con motivi floreali. I passi di Don echeggiavano nel profondo silenzio della sala. Un lieve ronzio proveniente dalla scalinata di sinistra attirò l’attenzione del papero.
Scrooge, sulla sua sedia a rotelle motorizzata, guardava il nipote dall’alto. Persino da quella distanza si poteva vedere come il magnate fosse visibilmente invecchiato. Gli occhi andavano perdendo quel fuoco avventuroso che l’avevano sempre contraddistinto. La fronte era marcata da profonde rughe e il becco sembrava piegato in un perenne broncio.
«Guarda guarda chi ha trovato il tempo di far visita a suo zio. Fammi indovinare, ti servono soldi?» Disse Scrooge fissando il nipote attraverso le lenti piccole e tonde degli occhiali. La voce somigliava al rantolo di un cane.
«Fanculo tu e i tuoi soldi!» Gli urlò contro Donald, dirigendosi a grandi falcate verso le scale.
«Otto anni fa mi dicesti che lei era semplicemente scomparsa…» Disse, mentre saliva velocemente i gradini.
«… mi dicesti che non avevi idea di dove andarla a cercare… tutte stronzate! È sempre stata qui!» Donald arrivò di fronte al vecchio, lo prese per il bavero della vestaglia rossa e lo sollevò dalla sedia. Era incredibilmente leggero.
«Non vorrai picchiare un vecchio infermo!»
«Non mettermi alla prova.»
I due si fissavano dritti negli occhi. Scrooge sostenne lo sguardo del nipote, poi sfoderò un sorriso obliquo.
«Sei sempre stato un testardo.» Gli disse.
Donald lo rimise sulla sedia a rotelle. Scrooge si rassettò la vestaglia e manovrò la cloche, ruotando su sé stesso ed avviandosi verso il corridoio alle sue spalle.
«Vieni.» Lo invitò. Donald seguì il vecchio lungo un passaggio illuminato dai freddi neon. Qui le pareti erano di un bianco asettico, intervallate da porte tutte uguali. Ben diverso da come lo ricordava Don.
«Avrei dovuto imparare prima ad investire il denaro invece di accumularlo. Non c’è niente che non si possa fare con la giusta quantità di tempo e soldi. Se solo me ne fossi reso conto…»
Donald non replicò.
Scrooge si fermò davanti ad una delle porte e compose un numero ad otto cifre su un tastierino numerico che sporgeva dalla parete. La porta sbuffò e si aprì di lato, sparendo nel muro.
«Ma non tutto è perduto! Sai, Daisy non ha fatto quello che ha fatto inutilmente. La singolarità tecnologica, il corpo perfetto, l’era del postpaperesimo, la vita eterna! Tutte questo tra non molto sarà possibile grazie a lei.»
I due entrarono nella grande stanza immersa nella penombra. E fu lì che la vide.
Daisy era legata ad un lettino metallico verticale con le gambe unite e le braccia distese. La veste bianca che le avevano messo la faceva sembrare un fantasma. Dalla schiena alcuni cavi elettrici collegavano il suo corpo ad un enorme computer posto dietro di lei, alto un paio di metri e largo la metà. Le cannule di una flebo le uscivano dalle narici e le sparivano dietro le spalle.
Donald le si avvicinò sconvolto.
«Ti consiglio di non toccarla.» L’avvertì Scrooge alle sue spalle.
Daisy era incredibilmente magra ed il suo respiro solo un leggerissimo soffio. Donald, accanto, la osservava da vicino. Non poteva crederci. Otto anni e lei era stata sempre lì.
«Sai Don, credo che non faccia altro che sognare. Ed ogni volta chiama il tuo nome… “Donald… Donald…” » Il rantolo di Scrooge gli sembrò arrivare da un luogo lontanissimo. Don si riscosse e si voltò verso il vecchio.
«Liberala.»
«Mai.»
Donald gli si avventò contro, afferrandolo di nuovo per la vestaglia.
«Liberala ho det…!» Gli occhi del papero si spalancarono. Scrooge ritirò la siringa dalla gamba del nipote.
«Tranquillo Romeo… Tra non molto potrai ricongiungerti con la tua Giulietta.»
Donald lasciò la presa, facendo ricadere il vecchio sulla sedia. La vista gli si annebbiò, barcollò ed infine cadde di schianto sul pavimento. L’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il ghigno soddisfatto di Scrooge.
L’acqua del lago era di un color verde smeraldo e i raggi del sole riverberavano sulla superficie quasi perfetta. Intorno erba, alberi, colline. L’aria era fresca e pulita, il cielo di un azzurro luminoso e terso. Donald si guardò intorno, sperduto e ansimante. Poi, a pochi metri da lui vide Daisy. Indossava il suo vestito rosa intonato al fiocco che le decorava i capelli.
Era bella. Era viva.
Le corse incontro e la strinse in un lungo abbraccio. Lei lo strinse a sua volta e lo baciò.
«Mi sei mancato.» Disse lei sorridendo.
«È stato un inferno senza di te… Ma adesso dobbiamo andarcene! Dobbiamo sovraccaricare il computer, dobbiamo…»
Lei gli mise due dita sul becco e lo fissò intensamente.
«Donald, vuoi davvero tornare là fuori?»
Un venticello leggero carezzò il volto di Donald, il fruscio delle fronde degli alberi riempì l’aria, il lago s’increspò in piccole onde.
«Questo posto è bellissimo.» Disse lei, voltandosi verso lo specchio d’acqua.
Donald restò in silenzio, guardando nella stessa direzione. Gli uccelli presero a cantare.
«Hai ragione.» disse poi «È davvero bellissimo.»
di Alessio Vaccai
Illustrazione di Andrea Innocenti
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