Il semaforo è rosso. Sotto il cerchio di luce del lampione, Lavinia guarda l’Agila bianca dall’altra parte della strada. C’è Biagio dentro, sorride allo schermo illuminato dello smartphone.
Il semaforo è verde. È su Grindr, l’app trova-fidanzati di una notte, pensa Lavinia. Non fa in tempo a salire in macchina che lui allunga un braccio per mostrarle Kaddour, figaccione algerino bello da mettere in dubbio l’autenticità della foto.
Collo sbieco e risata gaudente, Biagio è di una stronzaggine amorosa.
Rimbalza sul sedile, con un gridolino Dai, daai, daaai e le infila un biglietto tra le dita. Lavinia storce il muso.
Il Gambero Grosso
Inaugurazione
Tu, solo feste frocie. Eh?
Amooore… da noi cucchi più te!
Nei locali gay ci sono solo i gay.
Siamo di più nei locali etero.
A Lavinia, piedi sul cruscotto e ginocchia tra le braccia, vibrano le labbra per lo sbuffo. Guarda Roma srotolarsi tra i suoi anfibi e perde il broncio solo davanti al gazometro: il gigante d’acciaio ha la luna piena per cappello, tondo e vuoto ne riverbera la luce sui tubi che si intrecciano nel cielo.
La notte del sabato si accende e corre dritta nelle strade, tremula sul Tevere, svolta l’ansa e bagna di nebbia l’aria dello spiazzo. Quando lì c’erano i Magazzini Generali, i muletti smistavano fino all’alba la frutta e la verdura per la capitale, ora è parcheggio e non si vedono le linee sull’asfalto tanto è pieno.
Biagio e Lavinia girano, cercano, guardano, trovano. Manovra con incastro e l’auto è una tessera stipata.
Il popolo dei boa piumati è accorso in massa. Ha seni presuntuosi e rigonfiamenti inguinali in esplosione, gambe lunghe, gonne corte e unghie perfette. Avvolto da nuvole d’erba, ride tra sniffate e grattatine alle narici davanti alla porta in ferro che fa tanto underground. Sulla facciata a mattoncini del capannone industriale rinnovato, un gambero gigante emerge da due scogli arrotondati e troneggia intermittente.
Graaandi, dice Biagio.
I due… sssss-coglioni?
Non essere scurrile.
Ho dato un compito a scuola: ricomporre le sillabe, dice Lavinia.
E?
E invece di co-ni-glio, un alunno mi ha scritto co-glio-ni.
Anni?
Sei.
Precoce.
Biagia scema.
Sulle note di Mamma Mia degli Abba, Biagio e Lavinia sgomitano tra la moltitudine di eccessi variopinti mentre i bassi pompano dalle casse e vibrano sordi nel petto. Tutto pompa, lì.
Sparirai con qualcuno, grida lei.
Sparirai prima tu, grida lui.
Seeee, e lo brucia con gli occhi.
Le Drug Queen dispensano promiscuità regale tra siparietti e imitazioni, sulla pista gialla spengono sorrisi bianchi di wood in baci che si incontrano. All’angolo una donna ingobbita toglie a uno a uno i vestiti che la invecchiano. Raddrizza le spalle man mano che si spoglia, a testa in giù sfila la parrucca con la crocchia e apre i lunghi capelli rosa sul viso languido come si fa con le tende di un sipario. Con quelli colora l’aria e si dimena in perizoma al palo della lap. Lo afferra tra le gambe, lo ingoia con i glutei, gli vola intorno e ci si arrotola come una bandiera all’asta.
Oltre la pedana, sopra un vuoto circondato da nasi all’insù, un ragazzo volteggia tra due lembi di tessuto azzurro: fermo immagine in posizioni statiche; dinamismo nelle oscillazioni e nelle figure aeree. Si avvinghia, si srotola, si lascia cadere. Sfiora terra, rimbalza, si avviluppa nella stoffa e scala il vuoto. Biagio ha gli occhi appiccicati sul pacco enorme che la tutina blu elettrico evidenzia, si chiede se è tutta roba sua. Ma Lavinia vuole bere, quindi Biagio distoglie a fatica lo sguardo e l’accompagna. Raggiungono il bancone spremuti dalla folla, lo Spritz Aperol per lui e il Bitter Campari per lei sono una conquista.
Uhhhh! Non ti girare!, dice Biagio.
Perché?, chiede Lavinia.
C’è Kaddour. Quant’ è bello, quant’è belloooo!
Che palle.
Biagio espira con la bocca a culo di gallina, apre due bottoni e allarga più che può lo scollo della camicia: ora anche la pelle glabra del torso riflette il giallo, il rosso e il blu che gli lampeggia in testa.
Come sto? e fa per tirarsi indietro i capelli.
Biagio, sei pelato.
Agita l’aria davanti a sé con le dita a ventaglio ed entra nella bolgia in una piroetta, il pappagallo stampigliato sulla schiena segue il ritmo e annuisce con il becco a ogni passo.
Lavinia alza il bicchiere e brinda sola.
Anche sul terrazzo con vista acquedotto romano l’aveva portata lui, una festa LGTB per un concorso open: Migliori labbra e Migliori tette. Vinse, ma rifiutò il premio quando scoprì che il titolo includeva un’ultima parola: rifatte. L’aveva capito dalla domanda di Lucia: Chi è il chirurgo?
Però rimase regina quella notte e in tante l’avrebbero voluta. A un paio di proposte si era detta perché no? ma di una ragazza non l’aveva convinta la superbia, dell’altra la spiegazione del piacere: Dildo, cono, anello vibrante e palline cinesi vanno mosse da mani esperte, e niente è come il fist-fucking fatto da chi sa farlo. Parole con l’effetto di uno spegni candela sulla fiamma.
Lavinia si gira spesso a guardare belle donne e di una cosa è certa: non ha incontrato quella capace di sedurla. Lei vuole la scintilla, il caldo dentro, la vibrazione che non si può fermare.
Questo pensa quando una tizia la avvicina: eyeliner lungo e caschetto liscio, svetta su tacco dodici con movenze da gazzella e appare più nuda che mai nei pantaloni in pelle che la fasciano.
Sei una meraviglia, dice la tizia.
Lavinia finge di non sentirla e le dà le spalle.
Te la tiri?
No.
Allora?
Allora, che?
Che vuoi?, ribatte la tizia.
Che vuoi, tu!, ribatte Lavinia.
Offrirti da bere, le sussurra dopo averle scostato i capelli dalla fronte.
Non sei il mio tipo di tipa, dice, e poggiandole il bicchiere sulla pancia, la allontana.
Ma vaffanculo, stronza.
Due falcate e la tizia è quasi sulla pista. Lavinia ingurgita l’ultimo sorso, la vede voltarsi e scuotere la testa. Le dà ragione, è stata proprio stronza.
Sul ripiano davanti a lei i bicchieri vuoti sono in fila come superstiti di guerra, quelli pieni tintinnano di ghiaccio su labbra voluttuose. Sta per chiederne un altro, aspetta di incontrare lo sguardo del barista.
Cosa bevi?, le chiede la tizia da una spalla.
Campari liscio.
E il belloccio, collare borchiato e petto nudo, ne prepara due facendo voltolare la bottiglia rossa col beccuccio d’acciaio. I bicchieri fanno tic.
Mi chiamo Viola.
Ora cercherà di persuadermi per scoparmi. Mi dirà che è bravissima e che morirò di un piacere nuovo, pensa Lavinia. Ma Viola non aggiunge nulla al secco approccio. La cerca nello specchio oltre il bancone, tra le bottiglie sulle mensole. Abbassa lo sguardo quando Lavinia se ne accorge. Allora è Lavinia a sbirciarla di sottecchi mentre i decibel tuonano boom, boom sul loro silenzio. Dopo il secondo giro, è Viola a parlare.
Sei con la tua compagna?
Mai avuta.
Con chi stai qui?, il tono è di chi non ha capito niente.
Con Biagio, che sta con Kaddur.
Viola non lo dice che vuole farle compagnia. Beve con lei, balla con lei. Diventa protettiva. Conosce tutti lì, parla con gesti a chi è distante e chiacchiera con chi le si avvicina. Ma alle amiche curiose di sapere chi sia Lavinia, dice di smammare. Non è cosa.
Viola, corre, si ferma, ride, cambia pista.
Viola, occhi sgranati sotto al tessuto volante.
Viola, divertita davanti alla lap.
Viola, la spola col bancone.
Viola, una sigaretta.
Viola, una canna.
Viola è un’altra cosa: non chiede e si consegna senza coercizione, due ore insieme e non indottrina, non propone, non seduce. Lavinia è affascinata e la desidera, la vuole nel respiro, dentro la pancia, nelle parole deglutite, tra le mani impazienti che ritira. Perché vorrebbe, sì. Ma non sa come.
Però Viola li coglie tutti i suoi pensieri. Ferma il ballo, si avvicina e naso naso le soffia sulle labbra. Non le tocca, non le sfiora. Scosta la spallina destra del top senza farla cadere, scorre il dito sul seno di Lavinia e sorride all’indurimento del capezzolo. Poi la bacia a modo suo: le ruba le labbra come si fa con i bambini, schiocca uno smack al pugno chiuso e glielo appoggia sulla bocca.
Per Lavinia quello schiocco è il tuono che cade in petto e sposta il cuore sulla clavicola: è stata raggiunta dove pensava non si potesse arrivare. Trascina Viola dalla pista al privée dei divanetti, illuminati dalla fioca luce rossa delle applique, strappa un filo scucito dal bordo della gonna e occhi negli occhi glielo dice che è a disagio, che non l’ha fatto mai.
Ma Viola è brava.
Risale col palmo della mano l’interno coscia di Lavinia e senza pressione solletica, stimola, stuzzica, invoglia. Lavinia sente il desiderio esploderle bagnato tra le gambe.
Teme possa superare il bordo della mini e scorrere visibile.
Teme possa sentirsi l’odore delle sue fantasie.
Ma Viola è brava. Troppo.
Non affonda. Lascia inumidire le dita sul cotone zuppo delle mutandine, le annusa, sfiora il contorno labbra di Lavinia e respira con lei il suo odore salato.
Non ti porto in bagno su un water troppo usato. Le dice.
Ora è Viola a prenderle la mano. Corre e attraversa il locale facendosi spazio tra la pazza folla. Lavinia cerca Biagio con lo sguardo, senza frenare, senza chiedere a Viola di aspettare.
Lo vede. Sta ballando con Kaddur a bordo pista, davanti al palo della lap. Anche lui la vede e ammiccando dice: Amooreeeee.
Glielo legge sulle labbra, prima che lui scoppi a ridere e si copra la bocca col colletto.
A Lavinia sembra di sentirlo il suo risolino gridato.
di Federica Rigliani
Federica Rigliani vive e lavora a Roma. Ha vinto il Primo Premio dei Concorsi Letterari Nazionali Carlo Vittone (2017) e Laura Bosia (2018). Suoi racconti sono usciti con Giulio Perroni Editore, Roa, Nazione Indiana, La Nuova Carne, Blam, Bomarscé e Risme, La rivista che non deve essere spolverata. Attualmente sta ultimando una sua raccolta.
Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti
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