Nell’andare per farmacie Corrado si era dato alcune regole semplici. Andarci non ogni giorno, ma ogni volta una farmacia diversa. Mai due volte di seguito nella stessa. Ogni volta una farmacia diversa, ma soprattutto ogni volta un paese diverso.
Di questo passo i suoi giri pomeridiani s’erano allargati sempre di più, al punto che le distanze da coprire richiedevano sempre più tempo, le mezzore di viaggio ci mettevano niente a diventare ore e perciò, per non correre il rischio di arrivare troppo tardi e trovare la serranda abbassata, occorreva ogni volta anticipare la partenza da casa.
Scenari sempre meno urbani scorrevano fuori dai finestrini della Tempra verdone di Corrado nei suoi lunghi tragitti: rosseggiavano i terreni, infittivano gli uliveti, si stagliavano di quando in quando bianchi pietroni, ondulavano colline di terra franosa e doline ferrigne. L’auto costeggiava valloni aridi oppure così tarlati dal carsismo da squadernare grotte rupestri e burroni paurosi. E gravine ingorgate di rifiuti. Poi era l’ocra, tra tutti i colori, a prevalere nel paesaggio scalfito qua e là da turpi casupole mezze interrate a testimoniare la presenza di qualche disgraziato vivente in un mondo da mettersi piangere.
Man mano che s’approssimava l’inedito centro abitato dell’entroterra, l’immondizia tornava ad ammucchiarsi ai lati del manto stradale.
Individuata la farmacia prendeva a girarci attorno, guatandola, compiendo ancora due o tre peripli dell’isolato. Si fermava per qualche istante in una strada secondaria per darsi una sistemata, estraeva dal portaoggetti un cappello di pelle scura scamosciata con visiera e se lo calcava sulla fronte. Per un attimo si poteva pensare che andasse a fare una rapina ma poi si liberava il volto della inseparabile sciarpa rossa, anzi si liberava del tutto dalla morsa della sciarpa considerata, per l’occasione, di un colore troppo vistoso – doveva sembrare anonimo, insignificante se possibile – e ripartiva alla ricerca di un posto dove parcheggiare la Tempra.
Anche la decisione sul punto dove posteggiare temporaneamente seguiva una rigida logica: da escludersi sicuramente aree a rischio di contravvenzione. Si fosse anche trattato di un solo minuto non era disposto a correre il rischio di un simile contrattempo. Non troppo vicino all’entrata della farmacia, di modo che lui dentro l’abitacolo potesse sorvegliare il va e vieni dei clienti ma che allo stesso tempo, dall’interno del negozio nessuno potesse notare la Tempra in sosta con lui dentro. Perché per sembrare il più anonimo possibile, Corrado poteva incidere sul proprio abbigliamento e dunque sul suo aspetto esteriore, optando per gli abiti più grigi e i mocassini più mortificanti, ma non aveva nessuna possibilità di scelta sulla sua macchina. Che restasse allora ben nascosta, quell’autovettura considerata, anche lei, troppo vistosa.
L’appostamento poteva durare pochi minuti o anche un’ora, la durata dipendeva dal flusso dei clienti in farmacia. Se questo era intenso, Corrado restava dov’era, in attesa che scemasse.
***
Stasera, lontano un centinaio di chilometri da casa, in un paese chiuso dalla tenebra da ogni lato, in un comune di cui non ricorda più neanche il nome, poche case, strade buie, Corrado è in una di quelle attese nervose, impegnato in svariate preghiere affinché tutto il sudore freddo che sta secernendo non finisca per tradirlo liberandosi micidiale dentro la farmacia. Lascerebbe un traccia indelebile, cosa assolutamente da evitare, visto che un giorno, esaurita la rotazione, potrebbe avere bisogno di ritornarci, in quella farmacia, e per quel giorno conta di essersi fatto dimenticare, soprattutto se ci lavorano delle donne. Mica può permettersi che, vedendolo riaffacciarsi, si facciano occhiate tra loro e sorrisetti come a dire: guarda chi si rivede, il puzzone impotente. E giù altri insopportabili risolini.
Sul parabrezza della Tempra arrivano i riflessi verdi di una croce luminosa che continuamente si dissolve e si ricompone. L’autoradio è sintonizzata su un programma radiofonico in cui due conduttori non fanno altro che salutare i nuovi arrivi in chat e prendere telefonate di ascoltatori invitati a dire la loro sul tema del giorno. Oggi la parola chiave è rancore. In radio parlano e parlano, passano un brano musicale, Gli altri siamo noi, poi di nuovo parlano e parlano. Amici non ne ho.
Bene, la farmacia s’è svuotata. Se non si sbaglia dentro c’è rimasto forse appena un anziano.
Corrado abbandona rapidamente l’abitacolo, attraversa la strada con precipitazione, rischiando la pelle. Trafelato fa il suo ingresso nella farmacia, pronto con un foglietto in mano da spiegare e lisciare davanti al dottore al di là del banco.
È una farmacista, e già questo non gli va giù. Quella prende la carta dalle mani di Corrado e le basta l’occhiata di un secondo per restarne disorientata.
«Credo che lei abbia sbagliato sportello» e gli restituisce il bollettino.
Mannaggia a me, mannaggia!, pensa Corrado strappandoglielo dalle mani e prendendosela a morte con se stesso.
Aveva finito per estrarre, nella sua trance, il bollettino di pagamento della luce perpetua per i nonni Sblendorio. Mamma Innocenza gli aveva chiesto di provvedere al versamento quando avesse avuto un po’ di tempo e lui aveva riposto il cedolino nella tasca interna del suo soprabito, dimenticandosene completamente.
Corrado torna a frugarsi freneticamente nelle tasche. Finalmente trova la preziosa ricetta e la allunga alla dottoressa che continua a osservarlo divertita. Gli occhi di lei si abbassano quindi a leggere la prescrizione medica. Questa volta impiega qualche secondo di troppo per decifrare la grafia del medico e Corrado è in ansia per aver perso già troppo tempo.
«Da quattro o da otto? » chiede infine lei.
«Da otto va bene». Dentro di sé comincia a pregare che la dottoressa faccia presto a concludere l’operazione.
Entra una donna bella e distinta, in tailleur, subito seguita da un altro cliente, un ragazzo che ha appena parcheggiato lo scooter davanti alla porta.
Corrado comincia ad arrossire dall’imbarazzo. Una vergogna che gli ottunde tutti e cinque i sensi, mescolata a una tale rabbia per l’espressione sardonica della dottoressa che vorrebbe sfondargliela, quella facciazza di cazzo.
La dottoressa è scomparsa nel magazzino. Corrado può sentire il fruscio dei tiretti che scorrono sotto le sue mani. Finalmente esce da là dentro e con le sue pratiche dita riesce a tenere nascosta la scatolina mentre la avvolge nella carta di bottega facendola rotolare un paio di volte sul piano di vetro del bancone. Corrado suda freddo, gli sembrano momenti interminabili e pensa: muoviti, cazzo, muoviti! Si sente osservato da quelli alle sue spalle e da un pezzo vorrebbe non essere più lì.
«Fanno ottantaquattro euro», dice la dottoressa e subito batte lo scontrino.
Corrado paga con una fretta impacciata e si volta di scatto verso l’uscita. Se misurasse meglio i movimenti passerebbe molto più inosservato. Vorrebbe sprofondare o, in alternativa, venir fuori da lì il prima possibile. Se riuscisse ad avere più sangue freddo si accorgerebbe che sta dimenticando qualcosa. Comunque ce l’ha fatta, è andata liscia anche stavolta, non gli resta che impugnare il pomello della porta del negozio, tirare a sé, ed è finalmente fuori da quella bolla cianotica in cui s’è cacciato.
«Mi scusi», fa la voce stentorea alle sue spalle, quella dietro il banco.
Corrado non fa neanche in tempo a voltarsi.
«Sta dimenticando il Viagra».
***
Corrado rincasa a notte fonda.
Mamma e sorella chiuse in camera. Dormono. Lui si sbriciola la pasticca sotto i denti. Va in bagno, chiede a Padre Pio di tirarsi su dal cesso e di andarsene. Ci questiona una ventina di minuti finché non ottiene quello che vuole. Finalmente solo, si denuda completamente. Si siede sulla tazza, fissa l’espettorato di Padre Pio che macchia il bidè lì accanto, chiude le dita a pugno intorno all’uccello durissimo e parte. E finisce a sburrare tre volte.
di Nicola Sacco
Nicola Sacco nasce nel 1974 nelle Puglie, dove vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio, ha scelto di manipolare le parole piuttosto che i registri contabili di qualche azienda. Così arriva la pubblicazione della raccolta dei suoi “Racconti a vita Bassa” per Quarup Editrice e quella di altri racconti per riviste come L’immaginazione, Neutopia e oggi Rivista Waste. Altre sue cose sul blog www.nicolasacco.it
Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti
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