La maestra saluta l’ultimo della fila, poi torna da lei, apre la borsa e con un gesto abituale, meccanico, idrata le labbra con del burro di cacao.
Valentina segue ogni suo movimento con un sorriso, tiene il tempo con il piede destro. È euforica, curiosa di sapere che cosa le dirà: d’altronde, era stata la prima della classe a risolvere tutte le addizioni, vorrà dirle quanto era stata brava.
“Consegnami il diario, devo scrivere una comunicazione ai tuoi genitori”.
Sorpresa e confusa, Valentina le porge il quadernino rosso fiammante. La maestra lo sfoglia, finché non trova una pagina bianca; prima di iniziare a scrivere, alza la testa:
“Cosa ci fai ancora qui? Raggiungi i tuoi compagni in giardino, forza!”.
Ancora più perplessa, Valentina lascia l’aula correndo, con i capelli crespi in balia dell’aria, le gote arrossate e qualche goccia di sudore sulla fronte.
Al rientro dalla merenda, l’aula è vuota e il diario è sul banco. Valentina lo ripone nella tasca dello zaino, senza leggere cosa era stato scritto. I suoi compagni stanno facendo un gran baccano, meglio tirare fuori i compiti per casa prima che arrivi la maestra Roberta e punisca anche lei, a causa di tutti quegli schiamazzi.
L’indomani, la mamma di Valentina si presenta insieme al marito, in presidenza.
Quando sentono bussare alla porta, il dirigente scolastico e la maestra Claudia interrompono bruscamente la conversazione e accolgono i due coniugi con un sorriso stretto e circostanziale.
Due corde di violino tirate per l’occasione.
«Prego, accomodatevi» dice il Preside, che poi fa cenno alla maestra di continuare.
Lei si schiarisce la gola e, dal basso del suo ombretto blu notte, osserva la cravatta mal annodata del suo responsabile.
«Grazie per essere venuti. Il motivo per il quale vi abbiamo chiesto un colloquio è molto, molto importante. Alcune maestre, me compresa, hanno visto Valentina rubare ai suoi compagni di classe… Gomme da cancellare, per essere precisi. Quello che più ci preoccupa è che Valentina non dimostri il tipico atteggiamento furtivo: non si intrufola nelle aule vuote mentre tutti sono in giardino per l’intervallo, ma agisce durante la lezione, come se fosse in preda a un raptus incontrollabile».
La madre scuote la testa lentamente: labbra serrate, sguardo pietrificato, le mani stringono così forte la borsetta rosso vernice, che il corpo dell’unghia si colora di un rosa acceso.
«Che nostra figlia sia riuscita a soffiare una gomma sotto il naso dei suoi compagni di classe, la dice lunga sui riflessi di quei bambini», la risata nervosa del padre è un tutt’uno con la frase di risposta.
«Giorgio!», la moglie rinsavisce dalla momentanea paralisi mentale. Guarda il marito con le labbra ovali e cascanti per lo stupore.
«Gio-ia!», le fa il verso lui. Sa di stare esagerando, ma scusarsi è come decidere di scendere dalle montagne russe nel bel mezzo di un giro della morte.
«Mi sembra impensabile che nostra figlia si diverta a fare la ladruncola. Signora maestra, non è per mettere in dubbio la vostra parola, ma anche se fosse vero, non ci darei troppo peso, sono fasi della vita destinate a morire presto».
Il petto è gonfio come quello di un piccione nella stagione degli amori, le mani toccano il mento e si muovono a V lungo le guance barbute, il ghigno che emette a fine frase è quello di un bambino che desidera farla franca dopo aver combinato un guaio.
Gioia osserva suo marito e pensa le stia nascondendo qualcosa.
«La cleptomania è un disturbo ossessivo-compulsivo che viene usato dalla persona che ne soffre per sopprimere delle ansie troppo grandi da gestire. Io non ci scherzerei, se fossi in voi», il preside si aggiusta la cravatta e lancia alla maestra un’occhiata di intesa.
«Quello che cerchiamo di dirvi», continua lei con tono diplomatico «è che parlarne direttamente con Valentina è l’unico modo per capire dove nasca questo suo bisogno di rubare».
«Non. Usi. Quella. Parola. La prego», afflitta da un singhiozzo verbale, la madre diventa un salumiere che affetta l’aria con i palmi delle mani.
«Verifichiamo che a casa ci siano effettivamente queste gomme. Se dovessimo trovarle, solo allora, e sottolineo, solo allora, prenderemo in considerazione l’ipotesi di chiedere a Valentina come se ne sia appropriata. Siamo intesi?».
La maestra mostra i palmi delle mani, in segno di resa, facendo notare a tutti come sia l’unica parte visibile del corpo priva di abbronzatura.
«A noi interessa soltanto il bene di Valentina, ma per quanto sveglia e diligente sia, ho a cuore anche il bene di quegli sciocchini dei suoi compagni, che si lasciano sgraffignare la cancelleria da sotto il naso». Gli occhi della maestra Claudia penetrano quelli di Giorgio, per poi indicare la porta, facendo capire ai due coniugi che non sono più graditi in quella stanza.
«Lei pensi agli altri studenti, che noi pensiamo a nostra figlia».
Nel pronunciare quest’ultima frase, Giorgio scende dalla giostra e chiude con violenza la porta alle loro spalle.
Quella sera, Giorgio entra in camera di Valentina per rimboccarle le coperte: la figlia sfoglia l’antologia della scuola.
«Sei rimasta indietro con i compiti?».
«Sto rileggendo le mie storie preferite, papà».
Valentina ha lo sguardo impassibile di chi non vuole essere disturbato. I capelli corvini arruffati e legati maldestramente in una treccia, i pollici che premono le due estremità del libro, per evitare di perdere il segno, è quello che il padre intravede dal piumone che avvolge il corpo della figlia.
Un bacio sul capo, un abbraccio, poi Valentina torna a leggere.
Il padre chiude la porta, senza accorgersi che la moglie è dietro di lui.
Inciampa sulla pantofola di lei e cade a terra.
«Mi hai fatto prendere un colpo!», si lamenta, massaggiandosi la testa.
«Allora? Sei riuscito a guardare nei suoi cassetti?».
La sua camicia da notte assomiglia al baldacchino di un vecchio letto regale.
«Legge ed è più vigile di un carabiniere».
Gioia sbuffa esasperata.
«Adesso vado da lei e le faccio la domanda diretta».
«Aspetta, Gioia, aspetta», il marito le afferra la mano, già pronta ad abbassare la maniglia della stanza di Valentina, la porta nello studiolo e apre il primo cassetto di un mobile antico incassato sotto la scrivania.
A Gioia scappa un urlo, che soffoca un secondo dopo con le mani grandi e callose.
«Shhh… Sveglierai la bambina!». Giorgio agita le braccia come un gabbiano isterico per zittire la moglie.
«Oggi hai pure fatto la parte del bullo che non ne sapeva un accidente!».
«Ho visto questa scatolina di latta una settimana fa: ogni volta che aprivo il cassetto per prendere la cucitrice, notavo che si riempiva sempre più di gomme. Pensavo che gliele regalassero i compagni o che le scambiasse con qualcos’altro. Quando oggi la maestra ha tirato fuori l’argomento, sono andato in panico e ho mentito».
«Mamma, che succede?».
I due si girano di colpo verso il corridoio. Valentina si stropiccia gli occhi e aspetta una risposta.
«È tutto a posto, Vale, torna a letto».
Rimasti nuovamente soli, rimangono in silenzio, fissano il pavimento dello studiolo, illuminato da una lampadina a basso consumo ormai da sostituire.
Il pomeriggio del giorno successivo, Gioia apre il cassetto per prendere la refurtiva e portarla a scuola, con stupore trova la scatola di latta vuota.
«Hai preso tu le gomme?» È l’SMS che Gioia invia al marito, mentre aspetta che suoni la campanella.
«Sì, le ho rivendute al mercato nero della cancelleria», è il messaggio di risposta che appare sul display, qualche secondo più tardi.
Valentina rompe la fila e corre incontro alla mamma. Dopo un abbraccio e il consueto solletico della felicità, come lo chiama lei, Gioia si accuccia all’altezza della figlia.
«Tesoro, c’erano delle bellissime gomme in studiolo, papà le sta cercando perché gli servono per lavoro. Tu lei hai viste?».
«Le ho restituite».
«A chi, tesoro?»
«Ai miei compagni. Gliele ho buttate in cartella, mentre non guardavano».
Gioia si mette una mano al petto e tira un sospiro di sollievo.
«Brava, tesoro di mamma! Adesso aspettami qui un momento, devo andare a parlare con la maestra Claudia».
La sala insegnanti accanto alla bidelleria è piena di maestre e maestri che si preparano a tornare a casa. Chi riordina le pile di fogli protocollo e chi riempie la borsa di disegni e compiti da correggere. Quando Gioia compare sulla soglia, lo stropiccio della carta e il brusio di voci si interrompe.
«È la mamma della ladra», sente sussurrare da voci indistinte.
Gioia e la maestra Claudia si scambiano uno sguardo di intesa, quest’ultima ticchetta i suoi tacchi a spillo fino all’uscita e porta l’altra donna in un’aula vuota.
«Oggi Valentina ha restituito le gomme a chi le aveva prese».
«Vi ha spiegato il motivo di questo gesto?».
«Deve averci sentito discutere ieri sera e di sua iniziativa ha reso tutto. Ora che la questione è risolta, non ha senso parlarne, terremo comunque la situazione monitorata, non si preoccupi».
Il sorriso della maestra si raffredda e si appiattisce, fino a scomparire tra le rughe.
“Signora, insegno da vent’anni e non ho mai visto un alunno di otto rubare con tanta foga. È chiaro che Valentina vuole lanciare un messaggio che ha paura di esprimere a parole. Dubito sia una fase, come l’ha definita suo marito. Le parli».
«Ora devo scappare, Valentina mi aspetta fuori».
Dopo aver rivolto alla maestra un dito medio in incognito, Gioia esce dall’edificio.
«Ti va un po’ di musica?», chiede la mamma a Valentina, che annuisce disinteressata.
Si fermano allo Stop, lo scuolabus arriva da sinistra e svolta nella direzione opposta alla loro. Valentina segue la vettura gialla con lo sguardo, fino a che non la vede scomparire tra le chiome degli alberi del vialetto.
«Sono contenta che oggi tu mi sia venuta a prendere, mamma». Gioia le scompiglia i capelli e inizia a canticchiare il nuovo singolo che trasmette l’autoradio.
Un pianto inarrestabile e disperato, come quello di un neonato. Gioia preme bruscamente il freno, accosta e mette in folle, abbassa il volume della canzone.
«Vale, che succede?».
«Mi dispiace aver rubato le gomme ai miei compagni di classe».
Gli occhi gonfi e le guance paonazze sono un tutt’uno con le lacrime che le rigano il viso senza sosta. Gioia non l’ha mai vista piangere così, nemmeno quando aveva pochi mesi, o quando era caduta dalla bicicletta e si era slogata la caviglia.
Approfitta di quella vulnerabilità improvvisa per rivolgerle la domanda che da due giorni le tormentava la coscienza.
«Perché hai rubato quelle gomme?».
Silenzio.
Valentina preme i polpastrelli sul vetro del finestrino.
«Quelle che ti abbiamo comprato papà e io non vanno bene?».
«Carolina e io avevamo bisogno di tante gomme per cancellare gli uomini cattivi dello scuolabus, ma poi loro ci hanno scelte lo stesso».
Gioia farfuglia qualcosa di incomprensibile.
Ha la voce tremante.
«Ci dicevano: tu! Vieni qui. Ci facevano sedere in prima fila. L’autista continuava a guidare, mentre l’altro signore ci infilava la mano dentro i pantaloni e ci accarezzava la coscia».
Il pianto di Valentina si calma, man mano che pronuncia quelle ultime parole.
Cala il silenzio, scompaiono gli alberi, le strade, il motore della macchina non produce più quel monotono borbottio. Gioia forma un pugno con la mano e lo usa per appoggiarci prima il naso, poi il peso di tutta la testa. Chiude gli occhi, li riapre, sono annebbiati dalle lacrime. Deglutisce e le rispedisce indietro.
«Tesoro, sei stava bravissima e molto coraggiosa a dirmelo. Ti prometto che non accadrà mai più».
Gioia abbraccia la figlia, raccoglie la sua piccola treccia nel palmo della mano, consapevole di non poter mantenere la promessa appena fatta.
Un’ora più tardi, Gioia dondola su e giù, si appoggia alla portiera della macchina; ogni volta che tocca la carrozzeria, spinge con tutta la forza che possiede, finché non sente il dolore espandersi per tutta la coscia.
«Non è colpa tua», Giorgio le massaggia una spalla.
«Io sono la madre, avrei dovuto proteggerla. Ho fallito, abbiamo fallito».
«Dobbiamo rientrare, Vale è da sola nella sala d’aspetto».
Un uomo in divisa esce dalla stanza, lasciando la porta socchiusa.
Con la mano ancora sulla maniglia, li chiama, facendo cenno di entrare. Si alzano tutti e tre insieme, Valentina è in mezzo e stringe la mano a entrambi. Scompaiono dietro la porta grigia, le altre persone in sala d’aspetto continuano a sfogliare il giornale e a parlare al telefono.
di Giulia De Rossi
Giulia De Rossi vive e lavora a Padova. Orgogliosamente introversa, parla poco e legge molto. I suoi consigli letterari li trovate sul blog Piego Di Libri, dove scrive articoli e recensioni dal 2014. “Gomme da cancellare” è il suo primo racconto pubblicato.
Illustrazione in copertina di Beatrice Nicolini
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