Un palazzo smozzicato e incancrenito, sudicio, dalle finestre ferite. Dentro, una striscia di colore azzurro attraversa la parete bianca, si fonde con scheletri di uomini su scheletri di letti, bottiglie di vetro dalla testa all’ingiù. Vuote. Neppure l’acqua ticchetta. Silenzio. Altrove, in un altro palazzo, in un’aula sventrata, un pianoforte sventrato, su quel banco un libro increspato. Sventola, ora. Le pagine sono capelli di donna mossi da una brezza calda, troppo calda. Per strada, un tappeto di maschere, un tappeto di scarpe e borse e ossa. Lì, un bar. Sul bancone un bicchiere vuoto, una bottiglia vuota, un listino prezzi. Vuoto. Di là, una casa, inghiottita da tronchi d’alberi morti, sono fili neri, sono sbarre senza via d’entrata. Solo il tetto è aperto. All’interno, un corridoio lercio, una cucina lercia, sul tavolo ci sono ciotole. Vuote. Il lavandino è muto. Anche questo schermo lo è. Di fronte, lo guardano candele sciolte, le teste sono stoppini di lunghezze diverse: una madre, un figlio e gli occhi di un peluche.
D’improvviso, un rumore da fuori. Proviene da lì. C’è un parco giochi, c’è un dondolo che cigola. Qui, sembra che qualcosa si muova fra i fantasmi dell’erba. Non è niente. È solo speranza. Non è niente. Qui, non c’è niente. Solo silenzio. Solo assenza. Nessuno guarda più. Nessuno racconta più. Neppure le bestie. Eccole, in quel campo. Carcasse senza mosche. Non un verso. Non un ronzio. Dov’è l’uomo qui, dov’è la donna qui? Neppure un bambino. Nemmeno un animale. Dov’è la vita, qui? Non si muove nulla, solo questa brezza calda, troppo calda, soffocante. Ora è più intensa, ha la violenza di un urlo, è una nube di fuoco vomitata dall’orizzonte, un tetto di cenere che adombra qualsiasi cosa, un vento tossico che ci attraversa. La vita ha avuto la durata di un alito che ora c’è e l’attimo dopo non c’è più. Tutto è stato cancellato. Tranne noi. Perché noi siamo voce. Veniamo dal passato. E anche dal futuro. Cos’è futuro se nessuno lo conta? Se per nessuno conta? Ciò che alla presenza dell’uomo era lineare adesso è tornato a essere circolare: il sole di là che ci volta le spalle un miliardo di giorni, la notte che diventa una coperta bucata per poi scivolare via all’arrivo del mattino; che giorno dell’anno è questo? Potrebbe essere il venticinque dicembre. Potrebbe essere anche il venticinque giugno. È davvero importante sapere in quale quando siamo? Di là, una lama di luce fende la nebbia di cenere, si insinua nel silenzio, si tuffa nella terra. E poi, eccola, lei, la vita. Così piccola, così fragile, tanto straordinaria. Già, stra-ordinaria. La vita è fuori dall’ordinario, il fuori dall’ordinario è qualcosa che non si vede, così, eppure lì, sotto la terra che un miliardo di giorni fa era sterile, lei si nasconde, microscopica, invisibile. Da qui tutto ricomincerà, da questo momento in poi riprenderà il conto, alla rovescia, giacché ci sarà un ennesimo inizio. Ci sarà sempre un ennesimo inizio.
di Valeria Zangaro
Illustrazione in copertina di Andrea Innocenti
Altro pattume che potrebbe interessarti:
Andrea Innocenti Indifferenziata racconti Rivista Waste Valeria Zangaro